Le cosche del clan dei Casalesi sparano poco, ma sul territorio scorrono fiumi di armi

CASAL DI PRINCIPE – Le cosche pronte a uccidere, a far ripiombare nel terrore la provincia di Caserta, fortunatamente, appartengono al passato. L’offensiva dello Stato, che è riuscito a disarticolare l’ala militare dei vari gruppi, e la consapevolezza mafiosa circa la tossicità per i loro affari degli spargimenti di sangue, hanno portato le varie componenti del clan dei Casalesi a ridurre al minimo le azioni violente. Tuttavia, questo non significa che i soggetti oggi attivi nel mondo mafioso di Terra di Lavoro abbiano rinunciato ad accumulare armi. Le recenti operazioni condotte da polizia e carabinieri dicono il contrario. Ed infatti, hanno portato al rinvenimento di numerose semiautomatiche in possesso di soggetti che, direttamente o indirettamente, risultano legati alla criminalità organizzata.

Ladri, armerie e l’Est Europa

Ma da dove provengono queste armi? In alcuni casi, pistole e fucili derivano dalle attività dei ladri d’appartamento. Queste bande, spesso in contatto con figure orbitanti nell’universo Casalese, oltre a trafugare gioielli, dispositivi tecnologici e contanti, si appropriano delle semiautomatiche trovate nelle case che svaligiano.
A garantirle ci pensano pure gli assalti alle armerie, ma sono più rari, poiché più complessi da realizzare.
Diverso è il discorso per le armi automatiche: in questo caso, i clan per acquistare granate, esplosivo, mitragliette e simili, usano canali che portano all’Est Europa o al Nord Africa.

Lo scontro Schiavone-Bidognetti

Ma se non le usano per ‘fare morti’, se non ci sono in corso faide di mafia, oggi la corsa delle cosche alle armi a cosa è finalizzata? Innanzitutto averle (e far sapere che le hanno) per loro significa dare all’esterno un costante segnale di forza. Esempio di questo grammatica mafiosa sono gli ultimi screzi tra gli Schiavone e una gang connessa ai Bidognetti, tensioni sorte per la contesa del mercato degli stupefacenti. Avere fucili, pistole, mitragliette, consente ai malavitosi di poter organizzare rapidamente un’offensiva finalizzata ad avvertire (e non a eliminare) l’avversario. E la velocità di esecuzione dell’avvertimento, quando è legato a un business fluido (dove il cash flow è continuo) come lo spaccio di droga, è a dir poco decisiva (ogni giorno le piazze fatturano centinaia e centinaia di euro e quindi mettere all’angolo il rivale consente di non perdere denaro).

Soffermandoci sullo scontro Schiavone-Bidognetti, la fazione che inneggia a Ciccitto ‘e mezzanotte la scorsa primavera ha reagito alle ingerenze di Emanuele Libero Schiavone nel commercio locale di narcotici che fino a quel momento aveva controllato in esclusiva. Come? Non organizzando un omicidio, ma con una ‘stesa’ in piazza Mercato. E pochi minuti dopo aver esploso in aria un raffica di mitra, hanno crivellato di proiettili anche il portone in ferro della casa di via Bologna, a Casal di Principe, dove Schiavone era tornato ad abitare dopo aver trascorso in cella 12 anni.

Senza armi, episodi come questo non sarebbero stati possibili. Senza armi, i Bidognetti non avrebbero potuto costringere Schiavone a rifugiarsi a Napoli (dove poi è stato arrestato a giugno).

Le armi di Setola

Nonostante l’ormai rarità di episodi come quello appena raccontato, la circolazione di armi nel territorio resta intensa. A darne prova, oltre i recenti ritrovamenti di pistole e proiettili, è stato il collaboratore di giustizia Antonio Lanza, alias ‘Piotta’, già capozona di Lusciano per i Bidognetti. Il pentito ha indicato ai magistrati dell’Antimafia alcuni luoghi in cui sarebbero nascoste delle armi. Tuttavia, ciò che è stato ritrovato dagli investigatori rappresenterebbe, a suo dire, solo una piccola parte del totale (i membri del clan provvedono, compatibilmente con i loro impedimenti logistici, a cambiare frequentemente i nascondigli).

A dare informazioni a Lanza sulla perdurante presenza massiccia di armi nel territorio sono stati esponenti della compagine di Giuseppe Setola, bidognettiano e agli inizi degli anni Duemila capo dell’ala stragista: “Preciso che le armi presenti erano molte di più di quelle che sono state rinvenute. Gli affiliati di Giuseppe Setola, con i quali sono stato detenuto – ha dichiarato Lanza – mi hanno riferito della presenza anche di armi più offensive di quelle scoperte”.
Il seguito delle dichiarazioni di Lanza rese su questo tema non è stato ancora reso pubblico, un chiaro segnale che le indagini sono ancora in corso. Uno dei ritrovamenti di armi più imponenti fatti negli ultimi anni di cui si ha notizia è stato effettuato dagli agenti della Mobile a Castelvolturno: vennero scoperte, nascosti in fusti interrati, diverse armi – alcune da guerra – e perfino granate (nella foto). Ancora più recente è il blitz dei carabinieri che ha portato, questa estate, alla scoperta di un arsenale nella zona di Trentola Ducenta.

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