Adolescenti a metà, baby gang, povertà educative e culturali. Prevenzione e proposte dirimenti

NAPOLI –  Le cronache,anche di questi giorni,ci parlano di bande di giovanissimi, che in “branco”,picchiano persone indifese,senza un senso, un preciso scopo, picchiano immigrati, anziani, bagnini,altri adolescenti. Giovani con la morte nel cuore e vuoti valoriali alla base dei loro gesti.  Voglio dirvi alcune cose, sicuramente provvisorie e parziali, che ho capito a partire dalla mia esperienza  nel privato sociale e da due anni come garante dei detenuti, del fenomeno sociale delle cosiddette “baby gang”. Adolescenti a metà, con un blackout cognitivo, una totale assenza di ispirazioni valoriali, incapaci di riconoscere la risonanza emotiva dei loro gesti.

La risposta che spesso la politica dà è cruda: sicurezza in carcere (dicono), senza prendere in considerazione che vi è bisogno di organizzare risposte, di prevenire. A mio parere una società che giudica un minore e dopo averlo giudicato lo mette in carcere è una società malata che sta giudicando se stessa e la propria malattia. Bisognerebbe, secondo il mio punto di vista, innanzitutto selezionarli questi minori, non farne di tutta un’erba un fascio come accade oggigiorno: ci sono quelli che evadono l’obbligo scolastico, quelli che vivono conflitti in famiglia, che vivono nel sottosviluppo economico e sociale, vittime di vuoti culturali, di diritti negati, di politiche deboli. Ci sono, poi, i bulli che si sentono importanti e vogliono farsi notare dalla loro “comunità”; ragazzini che commettono violenze solo per affermare se stessi e marcare la propria presenza sul territorio. 

Negli anni c’è stato un mutamento del reato: prima i minori venivano arrestati per piccoli furti, oggi incontro ragazzi e ragazze condannati a 15/18 anni per omicidio, per rapina a mano armata. Ed ora vi snocciolo un pò di cifre che possono aiutare i lettori a centrare appieno il fenomeno: nel primo trimestre di quest’anno in tutta Italia, c’erano 11.916 minorenni e giovani adulti in carico ai servizi della giustizia minorile, di questi 1.430 donne. Solo in Campania il numero arrivava a 5.000 unità, sotto la diretta responsabilità della Procura presso i Tribunali per i minorenni di Napoli e di Salerno. 3.772 per indagini sociali e progetti trattamentali. I messi alla prova toccavano le 2.157 unità, in Campania trecento adolescenti. Per i minori la detenzione assume carattere di residualità, per lasciare spazio a percorsi sanzionatori alternativi. Negli ultimi anni si sta assistendo ad una sempre maggiore applicazione del collocamento in Comunità, non solo quale misura cautelare, ma anche nell’ambito di altri provvedimenti giudiziari, per la sua capacità di contemperare le esigenze educative con quelle contenitive di controllo.

Gli adolescenti di oggi spesso non sanno perché compiono un reato. Vogliono tutto e subito ed hanno la morte dentro, conoscono 50 parole e le conoscono solo in dialetto, rispetto ai loro coetanei, magari, che ne conoscono  mille e sanno anche parlare una lingua straniera. Può solo il carcere essere la risposta che mette tranquillità e sicurezza rispetto alla devianza ed alla microcriminalità? Si pensa davvero che abbassare l’età imputabile sia la soluzione? Secondo il mio parere bisognerebbe, invece, sottrarre il minore ad un contesto familiare che lo spinge verso l’illegalità e farlo prima del reato.

A questi ragazzi più attori sociali possono aiutarli a percepirsi come persone in grado di mettersi in gioco, ritrovarsi, senza passare ad un livello criminale superiore. Scuole aperte di pomeriggio, parrocchie accoglienti, educazione civica, strutture sportive aiutano e possono e devono essere la soluzione.  Io però l’aggravante di “branco” la inserirei nelle sentenze, il predominio del branco giovanile. presi singolarmente sono altra cosa da quando si mettono in gruppo. Una forma dissuasiva. Così come tutto il discorso sulla patria Potestà per genitori di ragazzi al di sotto dei 14 anni, tolta o sospesa. La potestà è l’obbligo per i genitori di mantenere, istruire ed educare la prole nel pieno rispetto della loro personalità. Questo per  diffondere nella collettività, l’idea che entrambi i genitori hanno un ruolo di fondamentale importanza per la crescita dei figli, di cui devono sempre condividere, in modo paritario, le responsabilità.

Samuele Ciambriello Garante Campano dei Detenuti

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