Amazzonia verso il punto di non ritorno

NAPOLI – Ieri l’intero pianeta ha celebrato la Giornata mondiale della foresta pluviale. Si tratta di una foresta caratterizzata da elevata piovosità, dove si trovano i due terzi di tutte le specie viventi animali e vegetali della Terra e si stima che vi siano milioni di specie di piante, insetti e microrganismi tuttora sconosciute. Insomma un vero e proprio tesoro di biodiversità che, tuttavia, è costantemente sotto la minaccia delle azioni umane. In Amazzonia, la deforestazione ha raggiunto il livello più alto degli ultimi 15 anni, e l’Ue ha un peso importante in questo problema. Un cittadino europeo consuma in media 60,6 chilogrammi di soia all’anno, il principale mangime animale utilizzato per produrre prodotti lattiero-caseari, pesce, carne di maiale, manzo e pollo. Nel 2018, più dell’11% della soia importata in Europa proveniva dall’Amazzonia. In danno ecologico devastante che vede protagonisti i Paesi più ricchi ai danni delle popolazioni più povere del pianeta.

Lo studio
Commissionata dal Wwf, la ricerca intitolata “Mapping the European Soy Supply Chain” (Mappatura della catena di approvvigionamento della soia europea) evidenzia come il 90% della soia che viene consumata da noi cittadini europei non sia l’ingrediente di una ricetta, bensì un consumo indiretto dovuto alla sua presenza nei mangimi necessari per ottenere tutti i derivati delle proteine animali. La soia, infatti, è un legume ricco di proteine e rappresenta quindi un mangime concentrato ideale. ll crescente consumo di carne, pesce, uova e latticini a livello mondiale ha determinato un incremento della produzione di soia, quintuplicata negli ultimi 40 anni. In particolare in Sud America le coltivazioni di soia penetrano sempre più nelle foreste e nelle savane ricche di biodiversità, che vengono trasformate in terreni coltivabili. Questo causa la perdita di specie, un notevole impatto sul cambiamento climatico e la perdita di fonte di sostentamento delle popolazioni indigene. Inoltre la soia, coltivata prevalentemente in monocolture, richiede un impiego elevato di pesticidi, che inquinano il suolo e le falde acquifere. Negli ultimi 50 anni, abbiamo perso il 68% della fauna selvatica a livello globale e il sistema alimentare mondiale ne è la principale causa. Ma la soia non è l’unica commodity che mette a rischio la salute del Pianeta: avocado, cacao, caffè e molte altre, se non di origine biologica o con altre certificazioni che ne attestino la sostenibilità della produzione, hanno spesso fortissimi impatti sugli ecosistemi in cui vengono prodotte e sulle specie.

Il declino
Stando alle stime del Wwf diffuse in occasione della Giornata mondiale della foresta pluviale tra agosto 2020 e luglio 2021 la deforestazione in Amazzonia è aumentata del 22% rispetto all’anno precedente, e ad oggi la copertura è di circa il 20% inferiore di quella degli anni ’70. Gli scienziati stimano che la perdita di appena il 5% in più significherà un “punto di non ritorno” che scatenerà cambiamenti irreversibili, in quanto l’Amazzonia non sarà più in grado di sostenere se stessa diventando un ecosistema più simile alla savana africana, né i 30 milioni di persone che dipendono da essa.

La battaglia
Il Wwf e quasi 200 altre ONG hanno a lungo sostenuto la legislazione dell’Ue sulla deforestazione attraverso l’iniziativa #Together4Forests. Mentre i governi dell’Ue e il Parlamento europeo stanno discutendo in questi giorni gli ultimi dettagli della legge sulla deforestazione, tutti possono agire affinché nei nostri supermercati e negozi arrivino solo prodotti privi di distruzione della natura. E’ possibile chiedere ai nostri europarlamentari di difendere le foreste sostenendo questa nuova legge durante i prossimi negoziati. In questo modo ridurremo l’impatto dei consumi dell’Ue sulla natura e sui diritti umani, aiutando i popoli indigeni che ogni giorno lottano per proteggere l’Amazzonia e impedendo che l’Amazzonia raggiunga il “punto di non ritorno”.

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