Caso Ferrandelle, il boss accusa Cosentino, Zagaria e Scialdone. Torna l’ombra della ‘trattativa’ per l’emergenza rifiuti

Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia ai magistrati della Dda di Napoli

CASAL DI PRINCIPE – La protesta dei cittadini, le telecamere, le strade sbarrate con l’immondizia. I sit-in sulla discarica, i sindaci in prima linea, poliziotti e carabinieri in tenuta anti-sommossa, le auto con i megafoni e i ‘no’ gridati alle tonnellate e tonnellate di rifiuti che stavano per arrivare. Ferrandelle era diventata il centro d’Italia: quel terreno tra Santa Maria La Fossa e Casale poteva trasformarsi in provvidenza, rappresentando la soluzione all’emergenza, o in catastrofe, innescando il fallimento del governo Berlusconi. Perché il Cavaliere, nel 2008, ci aveva messo la faccia: le vie di Napoli dovevano essere pulite. Ma tutto questo era la superficie, il mainstream, ciò che appariva a Matrix con Enrico Mentana, ad Annozero e sui Tg nazionali. Sotto, invece, c’era un inferno sconosciuto: un intreccio che non è stato ancora sciolto, fatto di interessi politici, imprenditoriali e mafiosi. E a raccontarlo, ora, non è più solo l’uomo del marciapiede, il negoziante o il complottista di turno. E’ Nicola Schiavone, il figlio di Francesco Sandokan.

Le parole del capoclan

E’ il boss che è stato ad un passo dall’entrare in guerra con Michele Zagaria, che per almeno 6 anni ha guidato la cosca principale della mafia casertana. Per lui, adesso, pizzo, gioco d’azzardo, sangue, omertà e pistole sono il passato: non va idolatrato. Bisogna prendere solo atto che rappresenta una fonte investigativa di primo livello, caratterizzata da un know-how criminale di spessore. Da luglio del 2018 è un collaboratore di giustizia. E appena tre mesi dopo il pentimento ha affrontato una questione complessa, spigolosa. Quale? Ferrandelle. Era il 14 novembre. L’anno scorso a raccogliere le parole del camorrista ‘redento’ è stato il pm Fabrizio Vanorio. Parte di quelle informazioni sono state depositate nel processo in Appello a carico di Nicola Cosentino, innescato dall’inchiesta su ‘Il principe’, il centro commerciale progettato (ma mai nato) a Casal di Principe (la prossima udienza si terrà ad ottobre).

L’intervento di Nicola Cosentino

L’ex sottosegretario all’Economia, ha spiegato il collaboratore, per sbrogliare “la vicenda dello stoccaggio dei rifiuti della città di Napoli” intervenne in prima persona “a livello politico”. “Si trattò di un’intuizione brillante. Individuando quel sito (Ferrandelle, ndr.) – ha raccontato Schiavone – si garantì da un lato la benevolenza dei politici nazionali della sua coalizione, primo tra tutti Berlusconi, che in quel momento era in campagna elettorale, e degli imprenditori che avrebbero effettuato i trasporti. Dall’altro – ha chiarito il pentito – in caso di fallimento avrebbe potuto dare la colpa ai cittadini che protestavano, appoggiati dai Casalesi, poiché era noto che il terreno fosse degli Schiavone”.

L’affare con Zagaria

Ma il business andava oltre la famiglia di Sandokan. Dentro ci sarebbe stato un altro boss: Michele Zagaria. “Certamente in quest’affare vi fu una convergenza tra gli interessi del Cosentino e di Zagaria, ma non conosco i termini dell’accordo e chi eventualmente svolse il ruolo di intermediario, a parte i riferimenti che ho già fornito sul ruolo di Antonio Scialdone”.

Il vitulatino

Si parla di rifiuti, si parla di emergenza ambientale, discariche e pezzi grossi del governo, e torna in gioco il vitulatino. Scialdone, ex direttore del Cub, stando alle parole di Schiavone, avrebbe fatto persino da tramite tra il parlamentare di Casale di Principe e il clan. L’attenzione degli investigatori, ora, è focalizzata sulla zona grigia: individuare i possibili faccendieri capaci di mettere in connessione istituzioni e camorra. Le loro figure, se realmente attive 11 anni fa, rappresentano un elemento imprescindibile per tracciare il quadro. Scialdone non è l’unico nome che ha fatto il figlio di Sandokan: nel verbale, prima degli omissis che coprono la maggior parte delle informazioni che ha reso alla Dda (le indagini sono ancora in corso) cita gli imprenditori Tullio Iorio, Franco Madonna e i Caprio (loro e Scialdone non risultano formalmente indagati e sono tutti innocenti fino a prova contraria).

Il velo

Lo scenario, affidandosi alle parole del pentito, comincia a sembrare più chiaro, quantomeno a delinearsi con più decisione: da un lato la politica di altissimo livello, con Cosentino, uomo di vertice di Forza Italia, dall’altro la camorra degli Zagaria. E in mezzo i businessman casertani. Il tutto per pulire una città, resa sporca da un sistema di raccolta incompleto. La collaborazione con la giustizia di Schiavone ha iniziato a spostare il velo che da anni copre una delle pagine più incerte del Meridione: grazie alla sua testimonianza, forse, la gestione dei rifiuti durante l’emergenza del 2008 non sarà più uno dei tanti misteri italiani. Ma bisogna aspettare. Forse.

L’ipotesi ‘trattativa’ per fermare l’emergenza

Trenta ettari di terreno, 18 piazzole e cumuli di ‘Rsu’ alti tra i 12 e 14 metri. In origine Ferrandelle era stata affidata al consorzio Acsa Ce3 per ricevere i rifiuti dei Comuni di volta in volta autorizzati dalla presidenza del Consiglio a scarica. Poi i lavori per organizzare gli spiazzi, che avrebbero dovuto risolvere l’emergenza del 2008, furono gestiti direttamente dal Reparto infrastrutture dell’esercito. E c’è il rischio che in quell’ambaradan ci avrebbe guadagnato il clan dei Casalesi, anzi più specificamente la famiglia Zagaria.

Prima la compravendita dei terreni per ospitare i siti di stoccaggio e poi il business del trasporto rifiuti: perché più la fai muovere, la monnezza, più fai quattrini. Ma è una teoria, una pista investigativa che a tratti può apparire come qualcosa di suggestivo. Perché l’ipotesi di una trattativa messa in piedi tra pezzi dello Stato e la cosca di Capastorta per risolvere l’emergenza, se non ponderata, se non presa con le pinze e inquadrata nel contesto politico di 11 anni fa, sfocia in una storia campata in aria, buona per un telefilm sull’intelligence.

Fare chiarezza tocca alla procura: le parole di Nicola Schiavone rappresentano un nuovo spunto per riprendere la vicenda. Partire da Ferrandelle, dalla protesta ‘sedata’, dal sì dei sindaci allo scarico dei rifiuti, dal ruolo del Commissariato di governo ed andare oltre, magari arrivando a chi recentemente è stato tirato in ballo nelle inchieste della Dda come imprenditore collegato al boss di Casapesenna ancora attivo nel settore (trasporto) ‘monnezza’. Se davvero trattativa c’è stata, è stato in quel frangente che Michele Zagaria ha compiuto il salto criminale decisivo, una progressione camorristica che l’avrebbe tenuto libero per altri tre anni.

Otto mesi fa Schiavone ha messo in connessione Capastorta e Cosentino proprio nell’affare Ferrandelle. Ma non è la prima volta che lega i due intorno ad un business: lo ha fatto pure in altri verbali chiamando in causa la realizzazione della centrale elettrica di Sparanise. E anche quella è una pagina che va ancora affrontata. Mentre gli inquirenti sono impegnati a pesare le parole del pentito, il sito di stoccaggio fossataro resta al suo posto così come è dal 2013.

I rifiuti a Ferrandelle non ci sono più, sono stati rimossi. Ma il progetto che prevedeva la realizzazione di un parco tecnologico su quell’area è fermo al palo. Trasformare lo slargo dei misteri in una struttura utile per la comunità potrebbe rappresentare il primo passo, al di là degli aspetti giudiziari, per sanare una ferita ambientale senza precedenti.

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