Caso Ragusa, la Cassazione conferma la condanna al marito: sconterà 20 anni

Foto LaPresse - Pietro Masini in foto la cugina della vittima, Maria Ragusa

FIRENZE – Antonio Logli, marito di Roberta Ragusa, misteriosamente sparita nel nulla sette anni fa, ha conosciuto questa sera il suo destino: carcere. La Corte di Cassazione, infatti, ha confermato la condanna a 20 anni di reclusione che gli era stata inflitta in primo grado e in appello, per l’omicidio della moglie e per l’occultamento del suo cadavere e ha scritto la parola fine al percorso giudiziario.

Logli, che oggi non era presente in aula, dove era rappresentato dal suo avvocato Roberto Cavani, ha atteso la sentenza della Suprema Corte in una località segreta, insieme alla figlia minore, che come il fratello ha sostenuto l’innocenza del padre, e all’ex amante e ora nuova compagna di vita, Sara Calzolaio.

Nella villetta di famiglia a Gello, invece, ad attendere il verdetto della Corte c’erano il figlio maggiore e i genitori di Logli. Nelle prossime ore, da quanto si apprende, dovrebbe costituirsi per espiare la pena. La vicenda risale alla notte tra il 13 e il 14 gennaio del 2012, quando Roberta Ragusa sparì, in pigiama, dalla sua casa di Gello, frazione del comune di San Giuliano Terme, in provincia di Pisa.

Le ricerche della donna rimasero sempre senza esito

Al momento della scomparsa Roberta Ragusa aveva 44 anni. Insieme al marito, Antonio Logli, gestiva una scuola-guida che si trovava adiacente all’abitazione. Le indagini si concentrarono quasi subito sul marito, il quale, invece, sostenne la tesi dell’allontanamento volontario della moglie. Antonio Logli venne iscritto nel registro degli indagati dalla procura di Pisa il 2 marzo 2012, quasi due mesi dopo la scomparsa della moglie.

Le indagini, coordinate dal pm Aldo Mantovani, si chiusero nel 2014

Omicidio volontario e occultamento di cadavere le ipotesi di reato contestate all’uomo. Secondo gli inquirenti, infatti, Roberta Ragusa venne uccisa al culmine di un litigio quando, udendo una telefonata del marito in soffitta, capì che aveva un’amante e che si trattava di Sara Calzolaio, di vent’anni più giovane di Logli, in casa fin da ragazzina come baby sitter dei figli della coppia e poi collaboratrice dell’autoscuola di famiglia.

La sentenza di primo grado, con rito abbreviato, venne emessa dal gup del tribunale di Pisa, Elsa Iadaresta, il 21 dicembre 2016. Nelle motivazioni della sentenza di condanna a 20 anni di reclusione, il giudice dell’udienza preliminare scrisse che “Antonio Logli è un bugiardo e ha reiteratamente e pervicacemente tentato di mistificare la realtà fornendo in più occasioni una versione degli accadimenti non corrispondente al vero e spesso smentita dagli esiti investigativi”, e “mentendo anche sulla profonda crisi che attraversava da tempo il suo matrimonio”.

Secondo il giudice pisano di primo grado, Logli mentì anche sulla “relazione extraconiugale con Sara Calzolaio, iniziata nel 2004 e che ha riferito solo il 12 gennaio 2012, allorché la donna lo mise alle strette”, e “ha mentito anche dopo avere rivelato la relazione, riferendo di avere effettuato una sola telefonata alla Calzolaio, quando in realtà ve ne sono state tre consecutive, l’ultima delle quali alle 00.18 di appena 28 secondi” nella notte in cui la moglie svanì nel nulla.

Secondo i giudici della Corte d’assise d’appello di Firenze, che nel maggio 2018 hanno confermato per l’uomo la condanna a 20 anni di reclusione per omicidio e distruzione di cadavere, sarebbero stati soprattutto i motivi economici a spingere Antonio Logli ad uccidere la moglie.

Come si legge nelle motivazioni della sentenza di secondo grado, secondo i giudici Roberta Ragusa “aveva preso in considerazione l’ipotesi della separazione” visto “l’irreversibile stato di crisi matrimoniale” causato dalla “protratta relazione del marito”, ma Logli aveva paura di questa ipotesi, poiché “ne temeva i contraccolpi economici nonostante fosse pressato anche dall’amante”.

Tra l’altro, si legge ancora, “gli interessi economici dei coniugi erano strettamente intrecciati e non facilmente districabili vista la partecipazione in forma societaria all’attività di famiglia alla cui conduzione la Ragusa era principalmente dedita”.

La difesa di Logli, invece, ha sempre chiesto l’assoluzione perché l’imputato non ha commesso il fatto, sostenendo che la procura “abbia sempre indagato in un’unica direzione scartando qualunque altra ipotesi a priori”. Anche oggi ha ribadito la richiesta di assoluzione con formula piena “per la non sussistenza del fatto”.

Per il procuratore generale della Cassazione, Luigi Birritteri, però, qualsiasi ipotesi alternativa a quella fatta dai giudici di merito “sarebbe inverosimile” ed “è certo che quella notte furono visti un uomo e una donna litigare, e salire su un’auto dello stesso tipo di quella in uso alla famiglia Logli: è impensabile che in un paesino in piena notte ci siano altre due persone con una macchina identica che litigano”.. Tesi che i giudici della Suprema Corte hanno accolto, condannando in via definitiva il marito di Roberta Ragusa. (LaPresse)

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome