Covid, Galli: “Vado in pensione, ma resto in trincea”

L'intervento del primario di Malattie infettive al Sacco di Milano

Massimo Galli (AP Photo/Luca Bruno)

MILANO – “A 70 anni i professori universitari devono lasciare”, ma “non abbandono la trincea. Noi medici, assieme ai magistrati, siamo quel genere di persone che non vorrebbero mai andare. Però a Milano si dice: ‘Zucche e meloni alla loro stagione’. E dietro di me c’è chi merita di prendere questo posto”. Lo dice in una intervista al Corriere della Sera Massimo Galli, primario di Malattie infettive al Sacco di Milano.

“Il mio mestiere impone di indossare la corazza. Ma questa pandemia lascia cicatrici. Ci sono lutti difficili da dimenticare”, afferma.

Galli è dell’idea che “il covid sarà derubricato”. “Anthony Fauci parla della prossima primavera. Ma serve non perdere il ritmo della campagna vaccinale. E da sotto questo aspetto devo dire che in Italia abbiamo fatto meglio di tanti altri”, aggiunge.

Galli spiega che “la moda dei virologi mi fa arrabbiare”. Sono, come molti colleghi, invitato in continuazione in tv”, ma che “agli ignoranti della politica che dicono più microscopi e meno tv, dico di avere più attenzioni al destino degli italiani e meno ricerca del consenso elettorale. Vado in tv, come sto in ospedale. Per fortuna dormo poco”.

In merito agli screzi con Alberto Zangrillo, Galli evidenzia che “a luglio 2020 ero tra i pochi a parlare di un autunno difficile. Purtroppo i morti della seconda ondata mi hanno dato ragione. Quindi con lui non può finire a tarallucci e vino. Ma dividere tecnici e medici tra destra e sinistra è stata un’operazione ridicola”.

Il covid e la pandemia hanno “sottolineato la precarietà della vita umana. È come se la gente pensasse che con la tecnologia la medicina avrebbe potuto salvarci da tutto, che avremmo vissuto sempre a lungo felici e contenti. Invece i giovani d’oggi la racconteranno ai loro nipoti. Sperando che la memoria li aiuti a costruire un sistema sanitario con le spalle abbastanza larghe ad evitare che una cosa del genere si ripeta troppo presto”.

(LaPresse)

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