Denunciò i pestaggi subiti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, ora non mangia e non beve

L’appello di Flavia, la compagna di Ciro Esposito: “E’ stato trasferito a Spoleto e lo imbottiscono di farmaci. Ha deciso di non alimentarsi per essere ascoltato”

“Lo stanno imbottendo di farmaci. Ha deciso di mettersi in sciopero della fame e della sete, parlava in modo stranissimo, la lingua si ingarbugliava. Stanno valutando anche di metterlo in una cella liscia, sorvegliato dalle telecamere. Vorrei chiedere un avvicinamento. A Santa Maria li hanno picchiati, li hanno trasferiti e li stanno facendo subire ancora”. Sono le parole di Flavia, la compagna di Ciro Esposito, uno dei detenuti che ha denunciato le violenze subite quel maledetto 6 aprile 2020 all’interno della casa circondariale ‘Uccella’ di Santa Maria Capua Vetere. A Flavia, Ciro ha scritto una lettera parole sono forti e drammatiche nello stesso tempo. “Sto scrivendo queste mie poche righe nella speranza che qualcuno mi ascolti – scrive –. Io sono detenuto da un po’, dopo che è successo il casino a Santa Maria fui messo ai domiciliari, poi sono ritornato. Stavo vicino alla mia famiglia e ai miei 8 figli”. Ciro è stato tra i detenuti trasferiti lontano dopo i provvedimenti eseguiti nei confronti degli agenti penitenziari. “Già a Secondigliano era difficile fare i colloqui” racconta nella missiva. Poi la storia di Ciro è arrivata ai media. La sua compagna ha rilasciato alcune interviste. “La chiamai per raccontarle ciò che stavamo subendo e ancora oggi i segni di quei giorni li porto dentro – specifica –. Anzi, dopo aver rivisto le immagini dei pestaggi mi è venuto da piangere perché è quello che ho subito”. “Ho già vissuto un brutto periodo nel mio passato – aggiunge – e sono ancora qui grazie a una dottoressa del carcere di Benevento che mi ha salvato la vita dopo un mio gesto”. Dopo l’accaduto “le conseguenze le sta pagando la mia famiglia”. Sì, perché si trova a Spoleto, a 330 chilometri da Napoli ed effettuare colloqui e incontri è un’impresa difficile. “Al ministero, a chi di dovere, chiedo di poter tornare vicino alla mia famiglia – aggiunge –. Ho già subito quelle che, riferendosi a Santa Maria, hanno chiamato torture. Ora continuo a subire”. Ciro Esposito chiede di poter tornare a Secondigliano o a Poggiorale. Poi la lettera scivola nello sconforto e le sue parole suonano come un campanello d’allarme. “Se andrà avanti così chiedo l’eutanasia, solo così potrò stare in pace e la mia famiglia potrà rifarsi una vita. Fin quando Dio mi darà la forza farò lo sciopero della fame e della sete”. La chiosa è sul carcere: “Tra gli agenti c’è chi non ha fatto nulla anzi, nel video che mi hanno mostrato si vede un poliziotto che fermava chi voleva picchiarmi”. Sul caso interviene Pietro Ioia, garante napoletano dei detenuti. “Sono le prove che gli abusi stanno continuando” dice. “Mandando lontano centinaia di chilometri questi detenuti che hanno denunciato, considerando che le famiglie non hanno soldi e non possono incontrarli, si configurano altri abusi – spiega –. E’ un ‘sistema’. Perché quando un detenuto denuncia una criticità in un carcere e viene trasferito, nel secondo carcere ci arriva con addosso un marchio”. “Io, Emanuela Belcuore di Caserta e il garante regionale Samuele Ciambriello, stiamo attendendo l’incontro con il capo del Dap Bernardo Petralia, che si terrà il 2 o il 3 agosto, per dirgli quanto è importante che questi detenuti vengano avvicinati alle loro famiglie. C’è anche un altro risvolto – conclude –. Se una famiglia non ha soldi per incontrare un parente detenuto, può diventare facile preda della camorra. I clan vengono a sapere delle difficoltà economiche in cui uno versa e si propongono come salvatori. Ma poi si entra in un circolo vizioso, perché gli stessi soggetti che hanno aiutato quella persona in difficoltà chiedono/impongono che venga loro reso il favore. Magari facendogli mantenere un certo quantitativo di droga o un’arma. E’ così che funziona”.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome