CASAL DI PRINCIPE – Tre giovani a bordo di una Fiat 127 celeste: sono le uniche informazioni, certe, che si hanno del commando entrato in azione la mattina del 29 settembre 1981: i sicari raggiunsero Francesco Coppola, 27enne, nella sua officina per assassinarlo.
Sono trascorsi quasi 43 anni da quel tragico giorno e i familiari della vittima non hanno ancora avuto giustizia. L’ennesimo caso di omicidio, in una terra dove la mafia è stata feroce, in relazione al quale avere i nomi dei colpevoli sembra impossibile.
La speranza è che alcuni di questi delitti irrisolti, tra cui, logicamente, quello di Coppola, tornino all’attenzione degli inquirenti, magari sfruttando le recenti collaborazioni con la giustizia di esponenti di vertice del clan dei Casalesi. E tra questi, tra i ‘pentiti’ eccellenti, ora c’è Francesco Sandokan Schiavone: il capomafia, da marzo, ha iniziato a parlare con i magistrati e, al netto dei tesori, ancora non toccati, che ha accumulato con le sue gesta malavitose, ci si augura che aiuti gli investigatori a far luce anche sui troppi assassinii dei quali, nonostante le indagini già svolte, non è stato possibile avere le identità di chi ha premuto il grilletto e generato dolore.
Quando i carabinieri Pasquale Ciotti e Salvatore Nuvoletta giunsero sul luogo del delitto, inviati dalla centrale operativa, videro sul pavimento dell’officina, in posizione supina, il corpo di Francesco Coppola, per metà sotto una vettura, esanime. Sul marciapiede poco distante, trovarono un bossolo di una pistola calibro nove. Un altro venne rinvenuto vicino al suo corpo.
La vittima era un elettrauto. Prima di raggiungere il luogo di lavoro, si era recato al bar Vinci, situato sempre su corso Umberto. Lasciato il locale e tornato in officina, si era messo a riparare un veicolo. A questo punto è arrivata la Fiat 127 con a bordo le persone incaricate di eliminare Coppola. Uno dei tre rimase in auto, al volante, gli altri due, col volto scoperto, scesero e fecero fuoco.
Due giorni dopo il raid di piombo, i carabinieri della Compagnia di Aversa arrestarono due soggetti, V.A., e M.C., all’epoca di 33 e 31 anni, con l’accusa di favoreggiamento personale. Secondo gli investigatori, avevano assistito all’omicidio e non vollero fornire indizi utili sull’identificazione dei killer. Il trionfo dell’omertà. Poco dopo i due vennero scarcerati.
Non è da escludere che questo assassinio, e l’indagine che fu attivata nell’immediatezza dei fatti, possa avere un link con un altro omicidio. Quale? Quello di Salvatore Nuvoletta, il militari dell’Arma che raggiunse l’officina, con il collega Ciotti, per iniziare l’attività investigativa proprio sulla morte dell’elettrauto.
Il carabiniere, di Marano di Napoli, venne freddato il 2 luglio 1982, nel suo paese, da un commando del clan. Il motivo che a spingere la mafia dell’Agro aversano ad ucciderlo fosse stata la volontà di vendicare la morte di Mario Schiavone, cugino di Sandokan, avvenuta in un conflitto a fuoco con i carabinieri, non ha mai pienamente convinto. E neppure alcuni familiari di Nvuoletta ritengono granitica quella ricostruzione. Quando Mario Schiavone venne ucciso, il carabiniere che sarebbe stato ammazzato a Marano di Napoli, per vendetta, dai mafiosi casertani, non era in servizio (insomma, non partecipò alla sparatoria che fece passare a miglior vita il cugino di Sandokan). Gennaro Nuvoletta, fratello di Salvatore, alla notizia del pentimento di Francesco Schiavone, si è augurato che il capo dei Casalesi possa finalmente raccontare la verità su quella tragica pagina campana.
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