Forti rincari benzina: fiammata da fine lockdown a prezzi materie prime

Foto LaPresse

MILANO – Nuova fiammata dei prezzi dei carburanti. I prezzi – secondo i dati del Mise relativi alla scorsa settimana – della benzina hanno raggiunto la media di 1,599 euro: quasi 1,6 euro al litro. Si tratta di un incremento del 9,02% rispetto alla settimana precedente. Il gasolio si attesta a 1,45 euro al litro, in aumento del 9,57% su base settimanale. La benzina viaggia ai massimi da luglio 2019, mentre il prezzo del diesel è il più alto da febbraio 2020.

Dati che le associazioni dei consumatori guardano con forte preoccupazione. “Gli aumenti dei listini dei carburanti impatteranno sulle tasche delle famiglie italiane determinando, solo per i maggiori costi di rifornimento, una stangata da 6,5 miliardi di euro a carico dei cittadini”, afferma Assoutenti. “Ogni singola famiglia deve mettere in conto una maggiore spesa annua pari a +267 euro in caso di auto a benzina, +230 euro per le auto diesel”, spiega il presidente Furio Truzzi.

Le cause del forte incremento sono essenzialmente due. La prima è legata all’allentamento delle restrizioni legate al Covid: ci si sposta di più e di conseguenza serve più carburante. A una maggiore domanda, quindi, segue un aumento dei prezzi. Il secondo motivo è legato invece alla dinamica delle materie prime. Da diversi mesi si sta assistendo a un deciso balzo dei prezzi legato alla pandemia che ha causato diverse difficoltà di approvvigionamento di acciaio, alluminio, ma anche legno, e altre materie prime. Anche i prezzi del greggio hanno subito una forte impennata.

La febbre da materie prime – e i relativi rincari – non sembra destinata a scendere. E per l’Europa la situazione potrebbe complicarsi in vista di una nuova mossa della Cina. “Fonti di mercato mi riferiscono come la Cina sia in procinto di varare un dazio sull’export acciaio”, ha detto a LaPresse Gianclaudio Torlizzi, direttore generale della società di consulenza finanziaria T-Commodity, spiegando che la mossa cinese, “accompagnata all’estensione da parte dell’Ue delle quote all’import, acuirà la già elevatissima tensione nel mercato europeo” e “aumenterà la già tesissima carenza di acciaio che c’è in Europa, considerato anche che in Italia rimane forte l’incertezza sull’ex Ilva e l’impianto di Magona a Piombino”.

La difficoltà di approvvigionamento delle materie prime e il conseguente aumento dei prezzi inizia quindi “a essere un problema molto forte che si aggraverà ulteriormente nei prossimi mesi. Possiamo attenderci ulteriori richieste di cassa integrazione da parte delle imprese del manifatturiero”, ha continuato Torlizzi. Per l’esperto in questo senso è “clamoroso l’atteggiametno dell’Unione europea che anziché agire per arrestare o compensare questo fenomeno, come stanno facendo altri Paesi, persegue politiche di disincentivo all’import di acciaio”.

Per Torlizzi l’Ue sta adottando “un atteggiamento ormai antistorico, soprattutto in questo momento con prezzi ai massimi storici e una carenza elevatissima”. L’esperto ricorda infatti che l’Ue si avvia a un deficit di acciaio tra i 15 e i 20 milioni di tonnellate nel 2021. “Ci auguriamo in questo senso che il governo italiano si faccia portavoce di una mediazione, dati alla mano”.(AWE/LaPresse)

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