Google, come funziona l’algoritmo ‘razzista’ che mette in relazione “Lavali col fuoco” e il Vesuvio

L'esperto Mattia Travaglione: "Si deve intervenire con dei filtri per la correlazione di parole"

NAPOLI – Sono passati tre giorni dalla denuncia di Cronache sul razzismo che viaggia su Google Maps, ma l’azienda americana ancora non ha battuto un colpo. Nell’attesa, è interessante capire tecnicamente come sia possibile che l’insulto ‘lavali con il fuoco’ digitato sulla più grande piattaforma web del mondo indirizzi al Vesuvio. Ci corre in soccorso Mattia Travaglione, giovanissimo digital strategist ed esperto del settore.

Travaglione: “L’algoritmo Google mette automaticamente le parole in relazione tra loro”

“Ci sono migliaia di esempi più o meno gravi di questo tipo. Ad esempio, qualche anno fa, scrivendo ‘quanto è alto un nano’ usciva qualcosa si simile all’altezza di Silvio Berlusconi. Se si scriveva ‘idiota’ appariva il faccione di Donald Trump e se si scriveva ‘fallimento miserabile’ appariva George W. Bush. In poche parole: Google setaccia il web alla ricerca di info per restituite un risultato quanto più affidabile ed attinente possibile. Dato che l’algoritmo è una macchina, stupido di per sé, ha bisogno di input, dei segnali. Tra cui ci sono le mensioni, parole correlate ad altre parole. Più volte una parola è citata accanto ad un’altra in articoli, blog, siti ed anche social e più c’è la possibilità che si verifichino cose del genere”. Più volte scriverete pane e cioccolato e più Google, digitando la sola parola pane, vi fornirà una bella e gustosa barretta.

L’algoritmo ‘imparziale’ che fa vincere il razzismo. 

Ma dietro questo meccanismo automatico, teoricamente imparziale e quindi soggetto a scivoloni di questo tipo, si possono nascondere insidie pericolosissime. “Essendo una ricerca di nicchia, è probabile che siamo di fronte ad un fenomeno chiamato ‘google bombing’: forzare un risultato andando a creare occorrenze, ovvero relazioni fittizie”. Dietro questo velo tecnico, però, la company americana potrebbe deresponsabilizzarsi. “Sundar Pichai, il Ceo Google, è restio ad intervenire direttamente, manualmente: dicono che la lista e l’algoritmo deve essere imparziale. La soluzione sarebbe quella di creare dei filtri e dei controlli su legami semantici, come ad esempio ‘lavali-Vesuvio’”. Ma resta la questione più squsitamente ‘politica’. Se Google, oltre a scusarsi, non riesce a trovare degli anticorpi automatici validi, l’intervento diretto non può essere più evitato dietro la scusa ‘l’algoritmo deve essere imparziale’. La falsa presunzione di oggettività spesso e volentieri crea dei mostri. Un’ultima domanda sorge spontanea: si possono immaginare delle azioni nei confronti della multinazionale web richiamando a principi simili a quelli del calcio come la responsabilità diretta? “Forse si”.

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