Governo, impasse sul premier: Di Maio si propone, Salvini dice no

Di Dario Borriello

Roma, 11 mag. (LaPresse) – L’intesa M5S-Lega nasce da una “piena sintonia” tra i rispettivi leader, ma al momento ha equilibri che sembrano fragilissimi. Prima i temi e poi i nomi, ripetono come un mantra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, ma è proprio sulla figura di chi dovrà occupare la sedia di Palazzo Chigi che il rapporto mostra le sue debolezze. Se le divisioni siano superabili o meno si capirà entro domenica, quando gli attori protagonisti di questa nuova fase politica dovranno alzare il telefono e comunicare la loro decisione al Colle. Fino a quel momento, il capo politico pentastellato e il segretario del Carroccio sfrutteranno ogni minuto per portare acqua al proprio mulino.

Le giornate ormai sono frenetiche, tra incontri, riunioni di staff, messaggi e telefonate. Serve una quadra, e tocca trovarla in fretta. Di Maio e Salvini ne sono consapevoli, ma nessuno dei due è disposto ad arretrare di un millimetro nella trattativa. Il leghista rivendica un credito cospicuo dopo aver strappato il nullaosta di Berlusconi al governo giallo-verde prima, e ingoiato una legge sul conflitto di interessi ora. Il numero uno dei Cinquestelle, invece, si sente forte di quel 32% ottenuto alle elezioni, che gli permette di portare in dote alla nascitura maggioranza un ‘tesoretto’ prezioso di oltre 300 parlamentari. Ecco perché l’ex vicepresidente della Camera, sfruttando il nuovo impasse, ha rilanciato la sua candidatura alla premiership, facendo strabuzzare gli occhi al suo nuovo compagno di viaggio. “Io sono ancora convinto del mio passo indietro, ma se proprio non riusciamo a trovare una soluzione, sai che c’è, caro Matteo, la responsabilità di guidare la squadra sarei disposto a prenderla sulle mie spalle”: dovrebbe essere più o meno questo il discorso fatto da Di Maio a Salvini nell’ultimo incontro alla Camera. Con quest’ultimo che, presumibilmente, potrebbe aver risposto con un secco “non se ne parla nemmeno”.

Al di là della ipotetica conversazione, resta il fatto che il segretario della Lega ha lasciato la Camera scuro in volto e con una scarsissima, quanto insolita, voglia di parlare. “Quando avremo qualcosa da dire ve lo comunicheremo”, ha liquidato i cronisti. Come Giorgia Meloni, sul cui incontro con Di Maio si è aperto un ‘giallo’. Dop un’ora e mezza di colloquio il capo politico 5 stelle ha detto di averle solo spiegato le ragioni per cui FdI non può essere nel patto di governo, mentre la leader di Fratelli d’Italia ha detto che è stato il suo interlocutore a chiederle voti per la sua candidatura a Palazzo Chigi. Inoltre, il pentastellato ha indossato nuovamente l’abito europeista, elargendo parole rassicuranti per le orecchie delle alte sfere continentali. Il Movimento assicura che non ci saranno forzature sul deficit e, nel caso in cui dovesse essere la necessità di sforare il target dell’1,5%, prima sarà aperta una discussione “con garbo” nei consessi Ue.

Niente guanti bianchi, invece, per Antonio Tajani. Di Maio ha risposto in maniera dura alle dichiarazioni del presidente del Parlamento europeo: “Chi vede in questa ipotesi di governo M5S-Lega una minaccia per l’Europa, forse vede una minaccia per le poltrone”. L’invettiva del giovane leader dei gialli ha una doppia valenza: lanciare un messaggio a Bruxelles e cancellare anche solo l’ipotesi, pure avanzata dal centrodestra, che alla guida del governo ci possa arrivare uno degli uomini più vicini a Berlusconi.

Questo concetto Di Maio lo ribadirà a Salvini anche sabato pomeriggio a Milano, negli uffici del gruppo Cinquestelle al Pirellone, dove si incontreranno anche le due delegazioni di ‘tecnici’. Questo vertice dovrebbe gettare le basi per la prima bozza del contratto di governo, che poi sarà limato e sottoposto al vaglio degli iscritti 5S sulla piattaforma Rousseau, come ha annunciato Davide Casaleggio. I due contraenti vogliono che questo lavoro sia fatto bene, ecco perché se dovesse servire qualche giorno in più, non si faranno scrupoli a chiedere altro tempo al Quirinale. L’importante è che si chiudano presto le partite sui ruoli di peso: serve un premier (Giorgetti resta in corsa) e servono i ministri dell’Economia (circola il nome di Salvatore Rossi, capo della Vigilanza di Bankitalia), degli Esteri, della Difesa e dell’Interno. Se entro domenica ci sarà una rosa di nomi da sottoporre al capo dello Stato, l’extratime non sarà un problema. In caso contrario, la situazione si complicherebbe maledettamente.

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