I maestri del nulla

Siamo una nazione destinata a godere di eventi imprevisti e straordinari, di successi inaspettati e di recuperi insperati. Qualcuno invoca il genio italico altri, più empiricamente, lo “Stellone” inteso come simbolo delle fortuna che accompagnerebbe il Belpaese ed i suoi abitanti. Oltre cha dai dettami della fisica, è dai tempi remoti, quelli dell’antica Grecia, che sappiamo come nessuna forza possa agire nel mondo senza un contraltare, che solo in questo modo tutto si tiene in equilibrio. Ecco che Tiche, la dea greca della fortuna e delle buone opportunità deve vedersela con Eris la dea della sfortuna e delle controversie, che accompagna il fratello Ares, dio della guerra, in ogni battaglia. Una compagnia costante che la dice lunga su come gli esiti di molti conflitti si siano risolti per concomitanze sfortunate, oppure per le divisioni sorte nelle schiere dei combattenti. Quindi per contraltare alle italiche virtù, continuiamo a far largo uso di invidia e di gelosia, più in genere ci abbeveriamo alla cultura miserrima della denigrazione più che affidarci a quella dell’ammirazione. Provincialismo e bovarismo si rincorrono e, per quanto in antitesi, sono entrambi buoni all’uso di parlar male di qualcuno e/o della sua opera. Si può dire che questa sia una sorte comune ad ogni territorio, riscontrabile in ogni contesto sociale e livello culturale. Tuttavia quando tale malevolenza viene condita col moralismo di basso conio, peggio ancora, utilizzando il medesimo per mascherare bassi istinti oppure miserabili scopi, diventa oltraggiosa ed insopportabile, un esempio pubblicamente esecrabile. Campioni di questa usanza sono spesso gli intellettuali che vanno di moda a sinistra, quelli che si sono guadagnati denaro e notorietà per la particolare capacità di alimentare odio e lotte senza quartiere contro chiunque militasse nel campo avverso. Sulla scorta di una notorietà conquistata in quel modo, costoro sono costretti a restar fedeli al fortunato e lucrativo cliché che li individua come integerrimi censori e portatori di una diversità addirittura ontologica che fa sempre successo a sinistra, presunta patria della diversità morale. Adusi a raccogliere di tutto, dalle veline di magistrati compiacenti, alle intercettazioni compromettenti a carico degli avversari politici, non indietreggiano mai, fino a raccattare anche dei cenci sporchi nella pattumiera della maldicenza. Alla fine l’obiettivo non è solamente eliminare moralmente l’odiato di turno, quanto ergere se stessi oppure l’organo di stampa utilizzato, a metro dell’etica pubblica e della moralità privata, del politicamente corretto ed opportuno perché i voti ricevuti siano considerati immuni da reconditi sospetti. Ogni accusa, ogni denuncia gridata ai quattro venti, a ben guardare, è un grano d’incenso sperso ai piedi dell’ara votiva che essi hanno eretto a loro stessi. Ecco dunque che quel che è consueto ed ordinario per taluni diventa fonte di scandalo per altri. Per quelli che hanno messo nel mirino, vale la massima politica di Bertolt Brecht “quel che è normale trovatelo strano, nella normalità riconoscete l’abuso e quando l’avrete trovato, ponete rimedio”. Manichei ed intransigenti, giudicano prima ancora di sapere, limite che cancella ogni obiettività ed ogni altra considerazione che possa mitigare, oppure limitare, la campagna denigratoria. Accade così che un giornalista mite e gentile, parlamentare corretto e partecipe, che scrive da quarant’anni sui giornali di centrodestra con prosa pregevole ed avveduta, Renato Farina, diventi oggetto di scandalo agli occhi del Fatto Quotidiano e di La Repubblica. Farina aveva accettato un incarico offertogli dal ministro Renato Brunetta, di coordinare l’ufficio stampa. Una collaborazione normale da sempre esistita, appannaggio di quasi tutti i membri di governo (e non solo di quelli). Ma Farina è un liberale, un uomo politico di centrodestra, un giornalista che non fa parte di quel coro di moralisti alle vongole che imperversa da anni. Abietto perché condannato per aver introdotto, ad un colloquio in carcere, una persona spacciandola per il suo assistente. Poi per aver agevolato due funzionari del nostro servizio di Sicurezza, nel caso Abu Omar, poi assolti per i fatti loro ascritti. Insomma una specie di incallito malfattore finanche in odore di collaborazione con un organo dello Stato quale appunto i servizi di sicurezza. Manca, secondo Travaglio & C., dei requisiti morali per assumere quell’incarico fiduciario presso il ministero. Non lo dice la legge, nella quale ha sede l’etica pubblica, che prevede la riabilitazione del condannato, scontata la pena, lo dicono i maîtres a penser della sinistra. Quelli, per intenderci, che oggi spalleggiano gli scalcagnati a cinque stelle e le loro boutade quotidiane. Sono quelli che hanno campato di collusione con magistrati infedeli che rivelarono, impuniti, segreti ed atti istruttori. Farina ha rinunciato all’incarico, sbagliando. Non bisogna ubbidire ai maestri del nulla.

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