Il cristo pelato

L’uomo a cui (Berlusconi e De Benedetti) appiopparono la santità

Oliviero Beha lo diceva già anni fa. C’è un monumento, a Napoli, “su cui ormai si esercitano solo i piccioni”. È la statua di uno che “si crede un dio, va in processione di frequente ed è specializzato non nelle grazie, ma nelle disgrazie” (Marcello Veneziani, Il Tempo, 2018). Con la sua “faccia da Cristo pasoliniano” (così un ironico Aldo Grasso sul Corriere della Sera, 2011), un tempo Roberto Saviano veniva portato a spalla da devoti del calibro di Silvio Berlusconi, che con Mondadori ha pubblicato Gomorra e Carlo De Benedetti, oltre che da Fabio Fazio e Maria De Filippi.

Ecce homo: la condanna per plagio

Poi si è capito che il “Padre Pio della nostra morale” (Alessandro Dal Lago, Panorama, 2016) non è proprio uno stinco di santo. La Cassazione lo ha condannato in via definitiva perché ha scopiazzato gli articoli scritti dai giornalisti di Cronache e gli ha ordinato di restituire gli “utili illecitamente realizzati”. Speriamo che la “Madonna Pellegrina”, come è stato definito da autorevoli colleghi (due esempi tra i tanti qui e qui), voglia adempiere spontaneamente. Perché per ovvie esigenze di sicurezza non si conosce il suo domicilio, né lo si vuole conoscere. E comunque New York è notoriamente piena di attici, per cui la notifica di qualunque atto sarebbe comunque impresa ardua…

La scomunica “ferendae sententiae” al povero Alberto Angela

Tornando alle sue disavventure, stavolta Alberto Angela, nella trasmissione “Stanotte a Napoli” andata in onda a Natale, ha osato parlare del Cristo Velato e non di lui, il Cristo Pelato. Si è permesso di dire che “le cronache tendono a concentrarsi sulle ombre della città. Ma Napoli non è solo questo. È soprattutto luce”.

Apriti cielo. Robertino ha creduto che ce l’avesse con lui e ha reagito col solito livore, accusando il noto divulgatore scientifico di aver fatto un favore alla camorra (tanto per cambiare). O almeno questo pare di capire dal suo disordinato sproloquio. Il titolo è già un programma: “Usare le bellezze di Napoli per delegittimarne il male è dare la città all’oppressore”. Teoria interessante. Nell’articolo è ancor meno “serafico”. Tale condotta “non è indice di ignoranza o superficialità, ma di cattiva fede”.

La parabola di Genny Savastano e la Napoli mandata in onda dalla Rai

Insomma, secondo Saviano non si può parlar bene di Napoli. Farlo significa mettere in ombra ciò che secondo lui più della statua di Giuseppe Sanmartino rappresenta la nostra terra, come le gesta criminali di Genny Savastano e Ciro l’Immortale, i protagonisti di “Gomorra – La Serie”. In realtà, pur volendo compiere uno sforzo logico per seguire la “defilippica” (per citare Frankie Hi Nrg, le persone oneste fanno così) dell’eroe tv, è difficile non riconoscere il contributo che Alberto Angela ha voluto offrire alla rinascita culturale partenopea. Un rilancio, quello sì, indispensabile se si vuole davvero che la camorra scompaia.

Chi contrasta la camorra e chi ridicolizza lo Stato

Solo la promozione del turismo attraverso la diffusione della conoscenza delle bellezze della nostra terra può dar vita a un processo virtuoso che favorisca lo sviluppo sociale ed economico, a discapito degli interessi illeciti delle organizzazioni criminali. Forse Saviano crede che questa rinascita possa arrivare da una serie tv che ridicolizza la Magistratura e lo Stato, facendoli apparire inermi e inerti rispetto al malaffare, se non piegati ai suoi ricatti. Per non parlare degli effetti catastrofici che l’esempio dei “cattivi maestri” ha sulle nuove generazioni. Quelli che sparano per far valere le proprie ragioni. Ma con le dovute proporzioni anche quelli che copiano per diventare famosi, incassano e poi non chiedono nemmeno scusa.

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