Il pentito Barone accusa i De Rosa: “Lavoravano grazie al boss Zagaria”

Gli imprenditori attivi nel settore del movimento terra

CASAPESENNA – “Se lavoravano è solo perché avevano un rapporto privilegiato con il clan”: è l’accusa rivolta dal collaboratore di giustizia Michele Barone ad alcuni dei componenti della famiglia De Rosa. “Antonio – ha dichiarato – è mio parente alla larga, era attivo nel settore bufalino e nel movimento terra insieme ai fratelli e al padre”. Ma, ha chiarito, “non era un affiliato, non prendeva uno stipendio del clan, era mio amico, una persona di fiducia mia e di Michele Zagaria”. A casa sua e presso quella del papà, ha informato Barone, il boss avrebbe tenuto “riunioni riservate con altri del clan”.

La principale attività dei De Rosa era quella del trasporto e movimento terra. Il pentito ha dato informazioni alla Procura distrettuale pure sui fratelli di Antonio. “Franco si occupava del settore caseario, Alfredo, detto Dino, operava in quello del movimento terra. L’impresa di Dino – ha chiarito – lavorava grazie all’interessamento di Michele Zagaria”. Ma alla cassa del clan non versavano alcuna somma fissa. “Davano, invece – ha sostenuto il pentito – una quota variabile a seconda dei ricavi che poi veniva giustificata mediante falsa fatturazione”. Ma i dettagli tecnici su queste procedure non sono in possesso del collaboratore di giustizia: “Questi aspetti venivano gestiti direttamente ed esclusivamente dal ragioniere Pasqualino Fontana”.

Le informazioni di Barone sono tra gli atti di inchiesta, condotta dal pm Giulio Monferini (Dda di Firenze), che hanno portato a processo Armando De Rosa, accusato di aver fatto parte di un’associazione a delinquere finalizzata a commettere reati di corruzione, frode in pubbliche forniture e tributarie con fatture false, antiriciclaggio e falso ideologico attraverso una rete di società operative in provincia di Lucca, grazie alla quali il gruppo sarebbe riuscito pure ad intercettare in modo illecito lavori banditi dall’Asl 3 di Napoli Sud. Il tutto, sostiene la Dda di Firenze, per favorire la fazione Zagaria del clan.
Dell’impegno imprenditoriale toscano di Armando De Rosa ha parlato pure Barone: “So che per un periodo ha avuto interessi in Toscana tramite un suo socio il cui fratello più piccolo si chiamava Leonardo, che lo appellavamo con il nomignolo ‘o nero”.

Rispetto all’inchiesta che ha trascinato a processo Armando De Rosa, i fratelli Antonio e Franco e gli altri componenti della famiglia sono estranei ed innocenti fino a prova contraria.
Antonio, negli anni scorsi, è stato oggetto di un procedimento penale con l’accusa di estorsione in concorso con Barone, ma è stato assolto.

Le parole del pentito non sono oro colato, vanno logicamente riscontrate, esaminate nelle aule di giustizia.
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