La città fantasma

Il commento di Luigi Felaco

Foto B&L

La città fantasma Vanny Tagliaferri non se lo ricorda più nessuno. Intendo nella coscienza collettiva di questa città. I familiari e gli affetti ovviamente non l’hanno mai dimenticato. Il suo assassinio già all’epoca non sembrò disturbare molto. Qualcuno disse perché era un giovane di Scampia e quindi poco importava. E’ un aspetto purtroppo plausibile in una terra con un’attenzione a velocità mediatica alterna. Forse c’è anche un’altra ragione. Napoli è in grado di trangugiare qualsiasi cosa, come la quantità di cibo nei festeggiamenti al sud. Cosa più importante, riesce a digerire tutto, senza fare una piega. Digerisce e quindi dimentica. Domani si torna a tavola, altro cibo, poco importa se il boccone è amaro, se la notizia è sconvolgente. Tra ventiquattro ore lo stomaco sarà vuoto e si potrà ricominciare, come nulla fosse. Vanny Tagliaferri nel 2009 aveva ventuno anni. Era con gli amici su Via Marina, fu aggredito per futili motivi da ragazzini, mentre si trovava in auto e cercava di far da paciere. Perse la vita così, dopo sette coltellate. Anche quella volta, l’ennesima volta, ad essere insensatamente violenti (come se si potesse utilizzare la violenza in maniera sensata) erano stati dei minorenni. E’ la stessa storia che si è ripetuta decine di volte, una storia come quella dell’assassinio di Gianbattista Cutolo, ventiquattro anni, ucciso in Piazza Municipio la scorsa settimana. Nelle retrovie della fiaccolata in memoria di Vanny Tagliaferri, mentre una parte della città era cauta nella partecipazione perché “chissà cosa aveva fatto”, incontrai il cugino della vittima. Avevo ventiquattro anni, studiavo all’università e lui era di poco più giovane, ma già lavorava da tempo. Disse che se ne sarebbe andato da Napoli o almeno quelle erano le intenzioni. E’ la storia della mia generazione e ancor di più di quelle nuove. La parte definita “sana”, quella che vuole salvarsi è sempre più protesa verso l’uscita dalle porte cittadine. Lo dicono i dati. E il suo contrario? La parte “non sana” di Napoli? Una delle ricette che stanno entrando nel prontuario di risposte ai media è l’allontanamento dei minori dal nucleo familiare, che invero si applica solo in talune specifiche situazioni. Ciò a cui si fa riferimento, invece, è l’allontanamento per la “tutela dei figli di mafia”. Una sentenza storica del tribunale di Reggio nel 2012 allontanò infatti i figli di un boss mafioso, valutando la decadenza della responsabilità genitoriale come pena accessoria. Lo scopo era sottrarre i figli ai modelli educativi mafiosi, salvarli ed evitare così che potessero prendere il posto dei loro padri una volta cresciuti. Se la misura funzionerà o meno ce lo diranno quelle esistenze nei prossimi decenni. In ogni caso si tratta di famiglie di mafia, non di soli pregiudicati e la valutazione viene fatta sempre caso per caso. Poi quanti minori si può realmente pensare di allontanare dalla città? 500, 1000, 10.000? Napoli è la città con il numero di giovani più alto della nazione. Non pochi provengono da contesti difficili. Sempre secondo il prontuario delle facili ricette quindi, i cattivi vanno chiusi in galera a marcire per sempre, i migliori, via da Napoli per salvarsi, i figli dei mafiosi o dei delinquenti comuni via anche loro. E in questa città, quale generazione resta? Nessuno, non resta più nessuno. La nostra diventerà allora una città fantasma, senza abitanti né futuro. Scegliere di andar via è sempre legittimo, ma aspettare una pur sbandierata “epurazione” non è ovviamente una soluzione, neanche al bar, mentre l’allontanamento dei minori dal nucleo familiare non potrà mai essere una misura utile e applicabile in qualsiasi occasione. Ce l’ho ovviamente con le facili generalizzazioni di commentatori, anche quelli istituzionali. Saranno ben altri a decidere cosa invece si poteva concretamente fare per evitare l’ennesima tragedia di queste ore. Come scriveva Aldo Masullo, la semplificazione dualizzante, quella delle due Napoli, è un modo deformato e riduttivo di vedere la città perché distrae e nasconde un dato decisivo: la sua marginalità. Certo nell’incontro tra la cultura e la sottocultura della città, oggi ha perso la bellezza, come ha detto bene la madre di Gianbattista Cutolo, chiedendo innanzitutto giustizia. La città resta una. Per questo è necessaria una risposta collettiva, a partire da quell’invito aperto dalla famiglia ai funerali il 6 Settembre. Un invito a tutti i napoletani. Non esisteranno mai isole felici o isolamenti che tengano e nessuno si salva da solo. Un segnale forte, esserci, tanto per iniziare, affinché sia l’ultima volta.

di Luigi Felaco

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