La Cupola degli Amato-Pagano

Scampia-Melito. Il boss Roselli ridimensiona Cristiano ad Arzano in un summit col gruppo 167. Il patto con Abete-Abbinante e Marino. E a Ponticelli residenti mandati in vacanza dai clan per liberare le case per i killer

NAPOLI – L’ultima ordinanza che ha colpito gli Amato-Pagano si lega a doppio filo con un personaggio che è arrivato alla ribalta delle cronache negli ultimi giorni, dopo un’ostentazione di “potere criminale” fatta con un corteo in Ferrari in occasione della comunione del figlio. Parliamo di Pasquale Cristiano, esponente del cosiddetto gruppo della ‘167’. Alcune intercettazioni effettuate in sala colloqui hanno fatto emergere l’operatività del gruppo ma anche i rapporti di subordinazione con gli Amato-Pagano. La funzione di cuscinetto tra i due gruppi sarebbe stata rivestita da Salvatore Roselli, noto come Frizione, uno degli arrestati nell’ultimo blitz che ha colpito gli Amato-Pagano.

Nel corso dei colloqui, intercorsi tra Mariano Monfregolo, fratello di Giuseppe, e alcune donne della famiglia. Mariano raccontò alle donne, in più riprese, gli esiti di un incontro avuto con Frizione ai Sette Palazzi, spiegando che il gruppo di Arzano altro non era che un sottogruppo del clan Amato-Pagano, al cui vertice si collocavano i tre affiliati a quest’ultima compagine, ovvero Renato Napoleone e Francesco Paolo Russo, coadiuvati da Angelo Antonio Gambino, mentre i Cristiano (Pasquale ed il padre Piero), come lo stesso Giuseppe Monfregolo, erano solo i referenti sul territorio, che in quanto detenuti erano da lui rappresentati. Una delle donne riferì il contenuto di un’imbasciata che gli aveva mandato Giuseppe, ossia evitare incontri con Roselli perché “ci stanno inciuci” ed era quindi pericoloso.

Alle parole della donna Mariano rispondeva raccontando cosa era successo nei giorni precedenti, chiarendo che non vi era alcun pericolo nell’incontrare Salvatore Roselli, e che l’autore degli ‘inciuci’ era il cognato di Pasquale Cristiano, Vincenzo Mormile, il quale dopo la cattura di Giuseppe Monfregolo, ritenendo Mariano inidoneo a gestire gli affari illeciti di Arzano, voleva occupare il territorio, senza capire che ad Arzano comandano tre persone che appartengono a Melito. Mariano ammetteva di avere commesso due errori gravi nei rapporti con il Frizione, in relazione ai quali riteneva, tuttavia di avere chiarito. In primo luogo si era recato ai Sette Palazzi per far visita a Gennaro Sautto, fratello di Nicola (capo clan di Caivano), senza prima andare a salutare Frizione, capozona del quartiere, referente degli Amato-Pagano a Secondigliano. Il secondo errore, più grave del primo, era consistito nel fatto che, il giorno successivo all’arresto del fratello, aveva rifiutato l’offerta di “aiuto e protezione” portata da emissari dei vertici del clan Amato-Pagano, rispondendo che in caso di necessità si sarebbe rivolto a Mormile.

Dopo questa circostanza fu convocato a Secondigliano ai Sette Palazzi e lì, al cospetto di Frizione, gli fu spiegato in maniera chiara e in modo definitivo che il gruppo di Arzano rappresentava una propaggine del clan Amato-Pagano, in cui non comandavano né Giuseppe Monfregolo né Pasquale Cristiano bensì altri tre soggetti detenuti che erano affiliati diretti al clan, con l’ulteriore precisazione che il gruppo di Arzano rientrava in una confederazione camorristica più complessa in cui militavano anche i gruppi “dello Chalet Bakù, Sette Palazzi, ossia Abete e Abbinante, Crescenzo (non coinvolto in alcuna inchiesta) delle Case Celesti, figlio di Gennaro Marino e Casavatore”.

Dal racconto emerge che il Monfregolo, all’incontro a Secondigliano aveva trovato, seduti attorno ad un medesimo tavolo, esponenti di tutti i gruppi criminali dell’area nord che erano legati agli Amato-Pagano. Frizione, in della occasione, gli aveva chiarito che si trattava della Cupola, precisandogli che a quella riunione egli (Monfregolo, ndr) aveva partecipato come “referente della famiglia di Arzano”, gruppo che rientrava nella medesima confederazione di scissionisti, in cui ciascun gruppo poteva interagire direttamente con gli altri per sanare eventuali contenziosi, senza doversi prima interfacciare con il vertice del clan di Melito. In concreto Frizione chiariva che ciascun gruppo godeva, sul territorio di egemonia e di autonomia gestionale.

Nella medesima conversazione Mariano Monfregolo avrebbe chiarito alla Cupola che lui, al pari del fratello Giuseppe, non avrebbe mai potuto negare un incontro a quelli di Melito. Del resto, anche il fratello quando veniva convocato si precipitava all’appuntamento, anche se talora aveva timore di non far ritorno a casa. Mariano precisava che il fratello lo aveva sempre tenuto fuori da queste dinamiche, assumendosi in prima persona i rischi della situazione, perché era necessario che Renato Napoleone avesse la certezza che i referenti su Arzano fossero leali e correnti nei suoi confronti e nei rapporti con il clan.

Mariano Monfregolo specificò infine il concetto, aggiungendo che la sua scelta di sedersi al tavolo degli scissionisti era stata, per alcuni aspetti “obbligata” attesa la potenza militare ed economica del clan Amato-Pagano, a cui non si sarebbe mai potuto opporre. In proposito, riteneva che, qualore non avesse ottemperato ad ordini o alle indicazioni provenienti dai “tre”, ovvero Napoleone, Russo e Gambino, avrebbe immediatamente ricevuto un ultimatum da “quelli di Melito”. Un summit, dunque, finalizzato a ribadire le gerarchie sul territorio di arzano, ma anche per sottolineare la compattezza della federazione scissionista che, dpo scontri intestini di alcuni anni fa, è ritornata unita.

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