La strada maestra

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

Chi è avvezzo alle buone letture, ricorderà senz’altro l’opera di Thomas Mann “Morte a Venezia” da cui Luchino Visconti trasse l’omonimo film. La vicenda narra di una storia scabrosa, ambientata nella città lagunare, ai primi del novecento: l’amore tormentato di un uomo verso un fanciullo. Lui è un maturo professore tedesco, radicato nei suoi principii morali. Un intellettuale borghese forte nei propri convincimenti e che, innamoratosi di un ragazzo, sacrifica a quella passione la propria scala dei valori ed ogni altra remora esistenziale. Tormentato dalla stridente contraddizione tra quello che ontologicamente è sempre stato e quello che prova sentimentalmente, il protagonista vive una passione assolutamente inconfessabile. Perso ogni punto di riferimento, si accorge di aver abbandonato la cosiddetta via maestra della normalità, uscendo dai limiti del conformismo e dell’omologazione sociale. Fuor di metafora: quante volte ci siamo imbattuti in pensieri e pulsioni radicalmente contrari al comune senso del pudore e ci siamo fermati? E tuttavia negli uomini si fa comunque spazio un’evoluzione del pensiero oltre che dei gusti e delle inclinazioni: una nuova morale che è figlia essa stessa dei tempi in cui viviamo. In un mondo secolarizzato, che abbandona i valori sociali come residuato di vecchie cose, continuamente stimolato dal cambiamento delle mode legate al progresso tecnologico, alla possibilità di viaggiare e confrontarsi con altre mentalità e costumanze di vita, la scala dei valori morali personali e quelli dell’etica pubblica vanno continuamente aggiornandosi e parificandosi ai tempi correnti. Nasce e si alimenta così un relativismo etico che mette continuamente alla prova i radicati pensieri e i pregiudizi entro i quali è maturata la nostra coscienza. Approcciata su questo versante, l’umanità sposta in avanti anche il comune senso del pudore, attribuendo ai nuovi comportamenti il rango della normalità. E’ quello che, in sintesi, è accaduto nel campo della sfera dei comportamenti e dei gusti sessuali, dando il via a quella che enfaticamente è stata chiamata liberazione dai tabù della sfera affettiva. Per quanto comprensibile e tollerabile, questa nuova morale continua a essere una forzatura dei principi fisiologici che hanno regolato la vita degli uomini. Intendiamoci: niente di quel che verrà asserito coinvolge la pacifica asserzione che vadano riconosciuti e tollerati gusti ed inclinazioni sessuali, salvaguardati i diritti di chi crede di dover seguire una sua naturale vocazione nella sfera affettiva. Le recenti disposizioni di legge, da me stesso votate in Parlamento, sono l’espressione di una doverosa equiparazione sul piano dei diritti e delle libertà costituzionali delle coppie omosessuali. Ma un distinguo, una precisazione si impone affinché non venga travolto e screditato, per paradosso, il comportamento eterosessuale, come forma retriva ed arcaica. La legge della natura è di per se stessa saggia ed opportuna, selezionata dal principio di sopravvivenza della specie nei millenni: non può e non deve essere equiparata a pratiche ed inclinazioni che non hanno il crisma della fisiologia. Una cosa è la sfera dei diritti e dei gusti, un’altra quella che la natura  ha selezionato. Chi tenta di forzare la mano su questo aspetto, ancorché abbia ottenuto il riconoscimento legislativo e sociale, tentando di equi-ordinare le due diverse fattispecie, va contestato e contrastato. Riconoscere la diversità non significa seppellire la legge di natura né quello che essa rappresenta sia sul piano biologico che su quello sociale. E’ di moda, oggi, l’acronimo LGBTQIAPK che sta per lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali, asessuali, pansessuali (o poligami) e la K per le pratiche sessuali difformi. Insomma una gamma di condizioni, gusti e comportamenti che si allunga con l’insorgere di nuove mode nei rapporti sentimentali e sessuali. Entra quindi in campo una nuova sfera morale e comportamentale che si unisce a quella tipicamente sessuale. Questa diventa, quindi, materia che esula dal riconoscimento della diversità sessuale, se finanche il tradimento sistematico del coniuge, della poligamia, della coppia ad assetto variabile,  rientra in quelle categorie (Kinky). Siamo quindi al nodo del problema, ovvero al tentativo di cambiare la fisiologia dei rapporti tra uomo e donna e dei legami stabili che intercorrono tra questi. Siamo già oltre la teoria gender, quella che vorrebbe introdurre l’accettazione, come concetto fisiologico, del cambio di sesso e di genere, anzi della soppressione stessa del genere uomo-donna. Siamo all’ambiguità della poligamia e della pansessualità, che dovrebbe minare alla base la famiglia oppure la convivenza stabile tra due individui. Insomma l’accettazione di ogni devianza sessuale, un sovvertimento globale dell’ordine naturale e sociale così come costituito nei secoli. Un patrimonio di valori che si vorrebbe cestinare. In fondo alla via maestra può anche esserci un’arretrata mentalità da far progredire ma che ci si voglia infilare di  tutto, la grande ammucchiata tra soggetti finanche privi di genere, è decisamente troppo.
Meglio la mediocrità che la deriva acritica dell’avventurismo, in un mondo epicureo.

*già parlamentare

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome