Le criptovalute coltivate in una serra

Le criptovalute coltivate in una serra
Le criptovalute coltivate in una serra

NAPOLI – Produrre bitcoin attraverso energia pulita: la nuova frontiera delle criptovalute. Questo innovativo esperimento è in corso in Olanda, a Rotterdam precisamente. Qui, in una serra dove vengono coltivati tulipani, vengono allo stesso tempo ‘minate’ le monete digitali. 

La produzione (il termine tecnico è minare, nda) e la registrazione di tutte le transazioni in criptovalute, delle quali la più  diffusa è proprio il bitcoin, richiedono un’ingente quantità di energia. Dall’inizio di marzo, in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina, i costi dell’energia hanno subito delle vertiginose impennate, anche  causa alla crescita dell’inflazione. Imprese e famiglie sono state messe in ginocchio in numerose nazioni e ne hanno risentito anche le aziende e le startup che investono nel mining. Per tenere in piedi la grande rete di criptovalute e ‘minare’ i bitcoin è necessario alimentare dei processori ad alta tecnologia che consumano tantissima energia e devono processare dati e transazioni 24 ore su 24. Proprio per questo, a fronte di costi diventati proibitivi, Bert De Groot della startup olandese Bitcoin Bloem ha avuto un’idea per risparmiare in bolletta, minare bitcoin e allo stesso tempo ridurre lo spreco di energia. L’imprenditore, insieme alla coltivatrice, Danielle Koning ha infatti pensato di alimentare una grande serra di tulipani con il calore generato dai processori che ‘minano’ le criptovalute. L’energia che alimenta i processori è tratta dai pannelli solari installati sopra il tetto della serra. In questo modo, attraverso una forma di energia rinnovabile, la startup riesce a portare avanti le sue attività di mining e la serra a coltivare tulipani da vendere in tutto il mondo risparmiando, e anche di tanto, sulla bolletta. 

L’impatto ambientale del mining

Il ‘mining’ delle criptovalute è un tema che ha sollevato in questi anni diverse note critiche. Dubbi emersi non soltanto dal punto di vista economico e finanziario. Nonostante l’utilizzo della moneta digitale prenda sempre più piede nel mondo, non manca mai chi profetizza che si tratti soltanto di una ‘bolla’ destinata ad esplodere. Ed effettivamente, a quanto pare, si sono verificati diversi crolli in borsa del valore del bitcoin che era arrivato addirittura a costare 70mila dollari. Ma le controversie non si esauriscono qui. Da un punto di vista ambientale, il loro impatto sull’inquinamento atmosferico e sull’emissione di CO2 è enorme. Secondo studi condotti dalle università di tutto il mondo, la rete di Bitcoin è responsabile, ogni anno, dell’emissione di una quantità di anidride carbonica compresa tra i 22 e i 23 milioni di tonnellate. Un numero che riguarda soltanto i Bitcoin e che, visto la progressiva diffusione, anche in operazioni e acquisti legati alla quotidianità in tutto il mondo, è destinato ad aumentare. Inoltre, si tratta di una stima al ribasso che non tiene conto delle altre centinaia di criptovalute che vengono estratte ogni giorno in tutto il mondo. 

La maggior parte di queste emissioni, comunque, viene prodotta in Cina, dove si trova la maggior parte delle ‘fabbriche di bitcoin’. Circa il 70% di tutti i bitcoin del mondo sono estratti qui. In Cina, una grossa fetta del Paese utilizza ancora energia elettrica prodotta dal carbone perché non vi è la possibilità di accedere all’energia idroelettrica, non è dunque difficile immaginare l’impatto ambientale che ha dunque il mining sul Pianeta. 

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