L’impero di Michel Zagaria perde pezzi

Messa in liquidazione la società Santa Maria: per la Dda è una creatura dei fratelli Capaldo

Michele Zagaria durante i colloqui in carcere con la cognata

CASAPESENNA – Messa in liquidazione. Il giudice Leda Rossetti ha accolto la richiesta di Renato Penza, l’amministratore giudiziario indicato dal tribunale per gestire la Santa Maria dopo il sequestro. L’azienda, ormai, non produceva più utili. Tenerla in vita, ha spiegato in una relazione il professionista, non aveva senso.

La creatura dei Capaldo

L’azienda ‘liquidata’, secondo la Dda, è una creatura dell’impero di Michele Zagaria. Sarebbe stata messa in piedi da Filippo e Nicola Capaldo, nipoti del boss di Casapesenna, per rientrare nel mercato della distribuzione del latte dopo la confisca della Euromilk (avvenuta nel 2013).
Ma a stoppare il business ci ha pensato la Mobile di Napoli e i poliziotti di Castellammare di Stabia. A gennaio sono arrivati 7 arresti.

Filippo Capaldo

L’inchiesta dell’Antimafia, coordinata da pm Maurizio Giordano e Giuseppe Cimmarota, avrebbe accertato che i titolari della Santa Maria sarebbe stati soltanto dei prestanome indicati dai Capaldo per celare la loro presenza nella società, evitando, così, possibili misure patrimoniali. E soprattutto il lavoro degli agenti ha fatto emergere, sostengono gli inquirenti, la richiesta di aiuto dei nipoti di Zagaria ad Adolfo Greco affinché quest’ultimo convincesse alcuni dirigenti della Parmalat a revocare le concessione all’Euromilk, dal 2013 finita definitivamente nelle mani dello Stato, e girarle alla loro nuova azienda, e cioè la Santa Maria.

Stop alle forniture

Ma dopo le manette, per la società è iniziato imprenditorialmente un periodo nero. La New Lat Food le ha sospeso le forniture, mentre la Parmalat aveva dichiarato la disponibilità a riprenderle, ma “a condizione in linea con i pregressi rapporti disciplinati dal contratto stipulato nel 2015, nonché una dilazione di pagamento pari a 30 giorni per un periodo di 3 mesi”. In soldoni, da febbraio, si è verificato un vero e proprio blocco commerciale. Una situazione che ha spinto Penza a chiedere ed ottenere lo scioglimento della struttura.

L’appartenenza della Santa Maria al clan Zagaria è tutta ancora da dimostrare, ma se i giudici di merito dovessero attestarlo, ora, con la sua messa in liquidazione, si potrà dire che un altro piccolo pezzo dell’impero mafioso sparisce definitivamente.

Le accuse

L’indagine sulla Santa Maria ha coinvolto i nipoti del boss per trasferimento fraudolento di beni. Stesso reato contestato a Teresa Zazzaro, Giuseppe Petito, Giovanni Massaro e Gianfranco Costanzo. Concorso esterno, invece, l’ipotesi di reato contestata ad Adolfo Russo, business-man di Castellammare di Stabia, e Vincenzo Vanore e Antonio Santoro, in qualità di dirigenti della Parmalat.

Per Greco, Santoro, Vanore, la Zazzaro, tutti ai domiciliari, e i Capaldo, ancora in carcere, è già stata fissata la prima udienza del processo. Confermate per i 6 le misure cautelari, la Dda nelle scorse settimane aveva proposto ed ottenuto il giudizio immediato. Salvo richieste (da parte degli imputati) di voler affrontare le accuse con rito abbreviato, il dibattimento prenderà il via a fine maggio, presso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dinanzi al collegio presieduto dal giudice Giovanni Caparco.

Il fratello del boss ai domiciliari

Il clan Zagaria è tornato al centro delle cronache anche per una scarcerazione eccellante.

Pasquale Zagaria è malato di tumore. Ha bisogno di cure e controlli, ma l’ospedale di Sassari, diventato un Centro Covid-19, poco distante dal carcere Bacchiddu, dove era recluso, non poteva più assicurarglieli. E così i suoi legali hanno chiesto ed ottenuto la scarcerazione. Risultato? Sospensione del 41 bis e domiciliari a Pontevico, in provincia di Brescia, per il fratello di Michele Zagaria. Lì resterà almeno fino a settembre. Pasquale ‘Bin Laden’ rivedrà la moglie, Francesca Linetti, che, in rotta con le cognate, da diverso tempo era ritornata al Nord, dove abitava prima di sposare il casapesennese.

Pasqule Zagaria ha già trascorso 16 anni in cella. Ne avrebbe dovuti scontare circa altri 4, ma, considerando possibili riduzioni e abbuoni, la sua ‘uscita di cella’ probabilmente non era così lontana. Però un’alternativa alla scarcerazione c’era. Serviva che il Dap individuasse, come gli aveva chiesto la Sorveglianza, un carcere, diverso da quello sardo, che offrisse controlli e cure. Tuttavia, dopo settimane di silenzio, la risposta dal Dipartimento è arrivata tardi. E’ giunta quando ormai il tribunale aveva già deciso per i domiciliari nel paesino lombardo. Entrando nel dettaglio della vicenda, dopo l’operazione a cui era stato sottoposto, Zagaria aveva bisogno di effettuare il follow-up diagnostico e terapeutico. Inizialmente, prima dello scoppio della pandemia, le visite erano previste nell’Aou di Sassassari. Poi, però, il nosocomio è diventato un Centro Covid-19. A spingere la Sorveglianza a liberarlo, infatti, c’è anche il rischio contagio: il 41bis lo teneva in una cella singola, è vero. Ma, secondo il giudice, non lo proteggeva dal rischio di contrarre il virus (che, nelle sue condizioni di salute, potrebbe risultare fatale). Magari se la risposta del Dap, sollecitato ad inizio aprile, fosse arrivata in tempo, a Zagaria i domiciliari non sarebbero stati concessi. In epoca di coronavirus, seppure al Nord, ci sarebbe stato un boss fuori prigione (prima del tempo) in meno. Così non è stato.


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