L’intervista a Daniele Russo. “Il teatro è più forte di tutto, la sua magia vince ogni cosa”

Già figlio d’arte, con il fratello Gabriele dirige da anni il Bellini di Napoli

CASERTA Daniele Russo, giovane attore napoletano, è figlio d’arte del grande Tato Russo e Dalia Trediani, anch’essa attrice. Nasce praticamente in teatro dove già da piccolo respira l’aria dei palcoscenici che ne caratterizzano la crescita e danno il là alla sua brillante carriera. Questa sera alle 20,45 e domani alle 18 porterà in scena al Teatro Parravano di Caserta ‘Fronte del porto’, un lavoro tratto dal film di genere drammatico ambientano a New Jork negli anni ‘50, diretto dal regista Elia Kazan che ha visto protagonisti attori del calibro di Marlon Brando e Karl Malden.

Una pellicola che ha riportato sui grandi schermi problematiche sociali con rigoroso impegno, rivelando una forza drammatica, un’impetuosità narrativa e un’acutezza d’indagine psicologica esemplari. E così Daniele Russo l’ha volute ‘trasferire’ nei teatri d’Italia, ricostruendo le location e il personaggio principe, Francesco Gargiulo. Un ex pugile, giovane ma già spento, incosciente, offeso ed umiliato da un mondo che non accetta, in quanto bieco e sfruttatore di chi ha bisogno di lavorare, ed uccide chi non vuole stare al losco gioco. Francesco, dalle spalle un pò curve, voce incerta, sogni teneri e dimessi, è troppo fragile per ribellarsi alla ‘famiglia’ che gli comanda sconfitte e tradimenti. Ma poi conquistato ad un diverso ‘tradimento’ e alla ‘giustizia’ grazie all’abilità di un prete e dall’amore per una giovane battagliera e disperata, rendendosi protagonista ed eroe di una qualsiasi epopea popolare.

La storia, riscritta da Enrico Ianniello è ambientata nella Napoli di 40 anni fa, con le musiche dei film, con i colori sgargianti della moda, con i riferimenti culturali di quegli anni in cui, dice Ianniello “la città stava cambiando pelle nella sua organizzazione criminale, gli anni del terremoto, gli anni di Cutolo”. Anni in cui il porto era sempre di più al centro di interessi diversi, legali e illegali. Sulla scena la storia prende vita tra la baraccopoli di Calata Marinella, la Chiesa del Carmine, il molo Bausan, la Darsena Granili e l’avveniristica Casa del Portuale di Aldo Rossi.

A poche ore dal suo esordio nella città della Reggia con un lavoro la cui regia è affidata ad Alessandro Gassman, e che vede tra i protagonisti anche un noto attore casertano, Pierluigi Tortora, Daniele Russo ha incontrato Cronache a cui ha raccontato un po’ di sé, della sua carriera artistica e e dei suoi progetti futuri.

Lei è figlio d’arte, di genitori attori e di una città culla di una storia culturale infinita. Quanto ha contribuito tutto ciò nella sua scelta professionale?

In maniera determinante, direi. Il teatro è più forte di tutto, con la magia che lo fa vincere su tutto, so ogni cosa. Un bambino, come lo sono stato io, cresciuto in una città d’arte come Napoli seguendo i genitori e vivendo con quotidianità il teatro Bellini come se fosse casa propria, ha portato ad una scelta che diventa quasi scontata di un mondo che viene scelto come logica conseguenza. Se cresci nel bello e nell’arte è inevitabile che ciò accada. Un messaggio che dovrebbe partire dalle scuole dove c’è bisogno di più umanesimo, di più arte per un riavvicinamento a queste materie e a questi tipi di studi.

Con suo fratello Gabriele dirige da anni il teatro Bellini di Napoli.

Sono quasi dieci anni grazie ad un’idea di nostro padre che ha avuto la lungimiranza di guardare oltre: lui aveva capito prima degli altri che il mondo del teatro stava cambiando e che ci voleva uno sguardo diverso. Ecco perché ha voluto restituire il Bellini alla città, alla nazione affidandolo a noi due figli. Un passaggio di consegne rischioso che però pare stia dando i suoi frutti. Certo, il lavoro è lungo, ma sicuramente mettere due giovani alla guida di un teatro è stata una scelta rischiosa ma lungimirante. E poi in quanto giovani, puoi portare un messaggio di contemporaneità rispetto al passato.

Un progetto importante anche per la stessa città partenopea.

Si, un progetto importante in quanto il teatro è un punto focale delle vita culturale della città come dovrebbero esserlo tutti i teatri. Il Bellini oggi è diventato punto di riferimento anche per le compagnie teatrali più giovani, per giovani artisti, e di tutte le arti. Direi una scelta degna di un uomo straordinario come nostro padre.

La sua carriera artistica tra cinema e teatro: ci indichi il vero amore e a quali i personaggi si è ispirato nella sua crescita professionale?

Preferisco prevalentemente il teatro perché preponderante anche come impegno; quando ho dovuto scegliere il teatro ha sempre avuto la priorità assoluta in quanto vero amore naturale. Mi rendo conto di vivere la scena con quella serenità di chi nell’ambiente teatrale ci è cresciuto, ci ha vissuto. I maestri a cui mi sono ispirato sono molteplici, da quelli più vicini con i quali hai lavorato, a quelli più idealizzati. In questo senso più chi di parlare di teatro è più facile parlare di grandi attori del cinema in quanto la pellicola dà agli attori più possibilità di giungere al grande pubblico. Da persona atea ho due divinità a cui mi sono ispirato: Gian Maria Volonté e Sean Penn, due mostri sacri dal tocco divino assoluto. Ma li vedo solo come fonte di ispirazione e con un timore reverenziale infinito.

Lei involontariamente mi ha offerto un assist a cui non posso proprio rinunciare. Prima si è definito ateo, come mai?

Ho una mia spiritualità e non credo nella religione nella formalizzazione di una spiritualità. Non credo nei Santi e nel Paradiso ma in una forte spiritualità in ognuno di noi che vada sempre curata e nutrita e che può essere vissuta attraverso un arte, uno sport, un viaggio, una lettura, un panorama.

Ci parli di ‘Qualcuno volò sul nido del cuculo’, dal grande messaggio sociale, ispirato dal film di Milos Forman.

Dal punto di vista meramente teatrale è stata un’esperienza davvero meravigliosa. Un lavoro che abbiamo portato in giro per ben quattro anni con un successo da rock star e non solo individualmente ma di tutta la compagnia. Abbiamo visto teatri sempre gremiti e tornado due volte a Milano e tre volte a Napoli. Un’esperienza eclatante che mi ha messo in un’ottima luce. Un lavoro partito dal romanzo da cui è tratto il film però trasferito in epoca e luoghi diversi per dare al pubblico una maggiore vicinanza grazie ad una storia più vicina e meno distaccata. Una realtà difficile in cui c’era chi metteva le regole ottusamente dimenticandosi che davanti aveva un essere umano con un problema. Poi c’è il protagonista, Dario Danise, da me interpretato, che riesce ad andare oltre mettendo a repentaglio anche se stesso. Forse il più pazzo di tutti ma più vicino all’essere umano riuscendo a comprendere le difficoltà di quelle persone riconoscendoli addirittura come una famiglia propria.

Ma il teatro oggi è in fase discendente secondo lei?

No, anche perché paradossalmente vedo sempre più giovani in platea. Le nuove generazioni più vanno avanti nel virtuale, più hanno sete di nuove esperienze, come il teatro, con la sua artigianalità con il suo essere ‘qui ed ora’. Ciò che va sottolineato, invece, è il calo del numero degli spettacoli che si fanno in Italia. Ad esempio, se prima in una città come Livorno, ci rimanevi quattro giorni con un evidente pienone, oggi il teatro lo riempi ugualmente ma restandoci solo un giorno. Ecco la differenza.

Oggi e domani con la sua compagnia sarete a Caserta con ‘Fronte del porto’.

Un romanzo ambientato nel porto di Napoli negli anno ‘80 in cui si parla di malavita, di atteggiamento coercitivi in ambiente lavorativo e di ignoranza che resta il filo conduttore di tutta la vicenda. Una storia che parla di soprusi a danno di una classe sociale molto bassa, i lavoratori e gli scaricatori di porto che dovrebbero essere difesi da un sindacato, da un’associazione. Il tutto in una società palesemente illegale che li sfrutta, riuscendo a minacciarne anche la stessa vita. Una storia di caporalato, di coercizioni che potrebbe verificarsi in qualsiasi porto del mondo e che noi abbiamo voluto trasporre in una realtà nostra, come Napoli.

E per concludere, quali i suoi prossimi impregni?

Lavorerò assieme a mio fratello in ‘Le Cinque rose di Jennifer’, di Annibale Ruccello.

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