L’intervista. Falconio: “Salvando Radio Radicale il governo dimostrerebbe coraggio”

NAPOLI – Un occhio costantemente puntato sulla società, sulla politica, sulle istituzioni, da 44 anni a totale disposizione dei cittadini. Radio Radicale ha un valore inestimabile per la democrazia, per l’informazione e per la difesa dei diritti della gente. Eppure rischia di chiudere i battenti tra tre mesi. Alessio Falconio, direttore di Radio Radicale (edita dall’associazione politica Lista Marco Pannella) racconta a ‘Cronache’ la storia di quello che è un avamposto della democrazia, un servizio pubblico vero e proprio che propone le dirette audio e video dal Parlamento, dai congressi di partito, oltre a tante trasmissioni di approfondimento su temi sensibili come le droghe, le condizioni dei detenuti, la difesa dell’ambiente.

Tutto questo oggi è al centro di un dibattito parlamentare, quello relativo ai tagli ai fondi per il pluralismo dell’informazione voluti dal governo. Un provvedimento che mette a rischio la sopravvivenza di Radio Radicale e di numerose altre testate e che rafforza la posizione di pochi grandi editori.

Direttore, come ha accolto la notizia della soppressione del sostegno all’editoria?

La legge di Bilancio quest’anno non conteneva alcuna misura che riguardasse il rinnovo annuale della convenzione delle trasmissioni del Parlamento tra Radio radicale e Ministero dello Sviluppo economico. Così il parlamentare di Forza Italia Renato Brunetta, che ancora ringrazio per la decisione presa, ha presentato un emendamento che ne prevede il rinnovo. Al momento dell’espressione dei pareri la maggioranza di governo, però, ha chiesto di riformulare l’emendamento con la metà dell’importo.

Eppure Radio Radicale garantisce quello che è considerato da tutti un vero e proprio servizio pubblico…

Noi, oltre alle sedute di Camera e Senato, seguiamo anche le attività delle commissioni parlamentari, del Csm dal 1984, della Corte costituzionale, i lavori dei più importanti dei processi, gli appuntamenti della vita dei partiti e delle varie forze sociali. Un’attività importante e interamente consultabile con un archivio che è patrimonio del Paese. Quanto ai lavori del Parlamento, dal 1976, abbiamo il monopolio assoluto di tutte le sedute almeno per i successivi vent’anni. Giusto per fare un esempio territorialmente vicino alla Campania, per trasmettere gli interventi di Eduardo De Filippo, in occasione del centenario della sua nascita, il Senato ci chiese di mettere a disposizione l’audio, che eravamo gli unici ad avere.

Attività che hanno un costo. Quante persone occorrono per fare un lavoro di questo tipo?

Radio Radicale ha 52 dipendenti tra giornalisti, archivisti, tecnici e figure amministrative. Ogni giorno registriamo mediamente 30 eventi, molti dei quali in esterna, che per la maggior parte nessun altro archivierebbe. E’ un prodotto unico. E poi ci sono le attività legate al Vaticano, agli esteri, al mondo delle carceri. Abbiamo 13 rassegne di politica estera. Diamo voce anche alle Authority, dall’Antitrust al Garante della privacy.

C’è il concreto pericolo che il danno provocato dai tagli diventi irreparabile?

Purtroppo c’è ed è molto alto. Si può tornare indietro se il governo ha la forza di rivedere questa scelta. Sarebbe un gesto di forza, non di debolezza. Chi non cambia mai idea non può cambiare nulla. Un motivo in più perché lo faccia proprio quello che si definisce ‘governo del cambiamento’. In mancanza di una modifica, le istituzioni non avranno più voce. E i cittadini non saranno più informati.

Eppure i 5 Stelle hanno sempre parlato della necessità di una maggiore trasparenza delle attività delle istituzioni, dicevano di voler trasmettere tutto in streaming…

Noi lo streaming dal Parlamento l’abbiamo inventato 42 anni fa. Un’idea di Marco Pannella che decise di provare a far sentire agli italiani cosa avveniva nelle aule, senza la mediazione degli operatori dell’informazione. Negli Stati Uniti tutto questo è arrivato tre anni dopo di noi, nel resto d’Europa molto più tardi. L’ex direttore di Panorama Giorgio Mulè, parafrasando quanto detto dal premier Conte nella conferenza stampa di fine anno, con una felice battuta ha notato che il mercato del servizio pubblico è la democrazia. Non può essere condizionato dalle esigenze del mercato pubblicitario. Se trasmettiamo le sedute del Parlamento non possiamo inframezzarle con gli spot, rispettando anche i dettami della convenzione con il Mise. O si fa servizio pubblico o si fa attività commerciale.

A proposito di informazione, i 5 Stelle ne parlano da tempo e non sempre con parole gentili. Oggi sul mercato ci sono grossi gruppi editoriali che però non sembrano rappresentare più un problema per i grillini. Penso al caso di Silvio Berlusconi, al tema del conflitto d’interessi ormai sparito dal dibattito pubblico, a editori come De Benedetti o Caltagirone che hanno molti giornali, anche locali. Quali potrebbero essere le conseguenze della scomparsa di Radio Radicale e dei piccoli giornali rispetto al mercato dell’informazione in Italia?

Non credo che questo avrebbe una ricaduta positiva anche in termini di mercato. Se qualcuno, ma non credo, si illude che togliendo qualche voce gli utenti si ridistribuiscano tra i prodotti editoriali che sopravviveranno, resterà deluso. Il sistema mediatico sta cambiando pelle, ma non si può sostituire l’informazione con i social. Così ci si ritroverà con un sistema Paese che conta sempre di meno. La forza di un Paese deriva da media autorevoli che non hanno mai fatto sconti a nessuno e che hanno avuto anche sostegno dal sistema istituzionale. Rinunciare agli attori dell’editoria in nome del progresso telematico significa in realtà fare contenti i giganti del web. Che nel nostro Paese danno poco lavoro e pagano le tasse altrove, a danno di un sistema dell’informazione che, con tutti i limiti che ha, serve ad evitare che ci si informi solo tramite i social network.

Conoscere per deliberare. E’ un’idea che ispira anche il Movimento 5 Stelle che si possa conoscere tutto utilizzando la rete per poi decidere tramite una piattaforma come Rousseau. Qual è la differenza tra questo e ciò che fa Radio Radicale?

Mi pare che nella situazione attuale il contraddittorio, il confronto lo si trova solo all’interno delle istituzioni. Ormai il dibattito in Italia sia sostanzialmente monocolore. Chi frequenta i social si rende conto che lì la profilazione, commerciale ma anche politica, è totale. E’ difficile imbattersi in un post o in un tweet che non piaccia. In rete c’è un effetto bolla che porta a polarizzare l’attenzione su elementi sempre uguali a se stessi. Il bello della vita delle istituzioni, un po’ come quello di un pezzo della vita reale, è che c’è spazio per tutti. Sono le istituzioni del Paese, quelle previste dalla Costituzione, quelle che incarnano la separazione dei poteri, i principi sacrosanti su cui si basano le democrazie liberali occidentali, che hanno il canone della garanzia, che è garanzia soprattutto delle minoranze e non della legge della maggioranza. Lì c’è la possibilità di contrapporsi con argomenti e con tempi ragionevoli. Sembra quasi, invece, che il dibattito da social o da talk show debba sostituire quello della principale agorà politica del Paese che è il Parlamento. Dar voce alle Camere significa ancorare l’informazione alla più alta delle istituzioni di questo Paese, l’unica che i cittadini eleggono realmente, al di là di piattaforme e social vari.

Pannella accusava spesso il potere di voler censurare il Partito Radicale. Pensa che anche questo sia un tentativo di chiudervi la bocca, questa volta definitivamente?

Pannella si è sempre battuto per il diritto dei cittadini a conoscere tutto ed essere informati. Anche ma non soltanto per il Partito Radicale, ha lottato perché tutti avessero voce. E’ dal 1976 che ci muoviamo per cercare di dimostrare come si gestisce un servizio pubblico. Nei tanti incontri di questi mesi un interlocutore ci ha detto che non siamo un organo di informazione, ma un organo di garanzia. Questo in effetti ci porta a essere antipatici al governo di turno e meno antipatici all’opposizione di turno. Ma questo è sempre avvenuto.

Nessuno, però, era arrivato a mettere in discussione l’esistenza di Radio Radicale….

No, nessuno lo aveva fatto. Questa volta c’è un atteggiamento diverso da parte del governo che porterà alla fine di questo servizio in meno di 90 giorni a meno di un ripensamento che da parte dell’esecutivo, ripeto, sarebbe un atto di forza e non certo di debolezza.

Vi sentite praticamente come nel braccio della morte?

Non ci sentiamo nel braccio della morte, però siamo decisi a fare tutto il possibile per garantire agli italiani il diritto di conoscere quello che avviene nelle istituzioni del Paese e per informarli nel miglior modo possibile. Non vogliamo fare i martiri. Vogliamo solo continuare a fare il nostro lavoro.

La scomparsa di Radio Radicale potrebbe compromettere l’efficacia delle battaglie radicali.

Le battaglie radicali hanno sicuramente in radio quello spazio che dovrebbero avere dagli altri organi di informazione. Come tutti gli altri partiti hanno da noi lo spazio che altrove è invece negato ai Radicali. Non c’è reciprocità, purtroppo, ma noi speriamo di poter continuare a distinguerci positivamente.

Pensa che un cambio di rotta del governo sia possibile?

Personalmente sono sempre portato ad avere fiducia nelle istituzioni. Il rispetto è totale e noi continuiamo a tentare l’interlocuzione, a cercare il dialogo, perché si convincano. Vincano con noi questa battaglia per la vita, e non solo per la sopravvivenza, di Radio Radicale.

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