L’odio contro i prof? Una guerra tra poveri

Stucchevole quanto il dibattito su Harry e Meghan al funerale di Filippo, antico come la storia della scuola ma rinnovato dalla variante Covid, torna prepotente l’annosa diatriba che ruota attorno a una semplice ma inafferrabile domanda: “Ma gli insegnanti lavorano sì o no meno di noialtri”? Il tema in realtà è un altro: il recupero scolastico in presenza dopo un anno di didattica a distanza più o meno a fasi alterne ma, si sa, a noi piacciono i conflitti di classe. Le fazioni in campo sono due: una sostiene che gli insegnanti si fanno quasi tre mesi di ferie e per questo sono privilegiati. L’altra invece afferma con una certa fierezza che gli insegnanti sono lo Stakanov del comparto pubblico italiano.

Nell’eterna lotta tra guelfi e ghibellini, che sostiene tutto il dibattito di questo Paese in cui schierarsi è un dovere e dubitare un sacrilegio, tocca allora fare un esercizio di verità per ribadire l’ovvio. L’insegnante pubblico in Italia è un dipendente statale, con tutte le tutele del caso. Il fatto che siano tutele sacrosante non è un motivo di biasimo, eh: passassimo più tempo a indignarci per i nostri diritti negati piuttosto che per i diritti altrui acquisiti, gli epatologhi verrebbero chiamati in causa meno spesso. Ma torniamo ai docenti: lo Stato dice che vengono pagati su 6 giorni a settimana anche quando ne sono 5 (es. scuole e licei che adottano la settimana corta). Il monte ore settimanali di lavoro va dalle 25 della scuola dell’infanzia alle 18 degli istituti superiori. Chiaramente, ridurre tutto al lavoro in aula (o in Dad) è evidentemente limitativo. Un docente gode di 30 o 32 giorni di ferie all’anno, e come in ogni comparto di servizio pubblico sono vincolate: in questo caso, vincolate allo stop della didattica. Quindi sfatiamo in un colpo solo due miti: il primo è che gli insegnanti si fanno tre mesi di ferie. Non è vero, restano a disposizione del dirigente scolastico. Il secondo è che gli insegnanti – se venisse disposto un prolungamento della didattica – andrebbero in affanno. I 30/32 giorni di ferie gli spettano di diritto (Costituzione Art. 36, D.Lgs. 08/04/2003 n. 66 Art. 10 D.L. 06/07/2012, n. 95 Art. 5, Codice Civile Art. 2109 etc.etc.etc.) ma, come tutte le ferie, “vengono godute in un arco temporale stabilito dal datore di lavoro sulla base delle proprie esigenze organizzative ma il lavoratore deve essere preventivamente informato”.

Insomma, le norme e le regole dicono che l’insegnante lavora esattamente come noi. Quindi questo livore (da un lato) e questa fierezza corporativista (dall’altro) da dove provengono? Due settimane fa proprio su queste pagine raccontavo la percezione di una nuova guerra di classe basata sui privilegi dell’uno a (non) scapito dell’altro: non vaccinati contro vaccinati, non viaggiatori contro viaggiatori, il web contro i Ferragnez. Ed ora – sibilati dall’ennesima web-puntata di InveceConcita (De Gregorio) di cui avremmo fatto volentieri a meno (su Repubblica web in data 3 aprile) che racconta di questi genitori che lavorano nel privato, “fanno i salti mortali” per coniugare lavoro e famiglia e che fanno gli straordinari “per senso del dovere” e per “rispettare le scadenze” e si chiedono perché i docenti non fanno (?) altrettanto – dal mai sopito odio lavoratori privati vs. insegnanti statali. Ma sì. Perché prendersela con un sistema disumano in cui conciliare il lavoro con la vita privata diventa una missione epica tanto da trasformare le pillole per l’ansia lieve in un farmaco da banco pubblicizzato in tv, quando possiamo prendercela con persone ai nostri occhi privilegiate? E perché, d’altro canto, dopo tutto questo starnazzare di smart-working e con centinaia di migliaia di precari alla porta, il dogma del mese di ferie non può essere messo in discussione da forme più agili di fruizione del servizio pubblico senza scatenare una guerra tra poveri? Il discorso è sempre lo stesso: litighiamo tra noi perché è pur sempre più semplice che prendercela con chi di dovere.

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