Madame de Calippò

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

Nella tumultuosa epopea della rivoluzione francese molti furono i personaggi passati alla storia. Alcuni tra questi sono ancora oggi ricordati come giganti del pensiero e dell’azione che consegnò all’Europa la luce della democrazia. Taluni sono
ricordati come grandi intellettuali, altri come uomini del terrore e della crudeltà che sempre si accompagna ai grandi stravolgimenti politici. I primi furono gli animatori degli “atelier”, circoli culturali illuministi frequentati dai cosiddetti Enciclopedisti, il cui motto era “sapere è potere“. La parola Illuminismo, dal francese “lumiere”, lume, vuol significare la vocazione di illuminare le menti dell’umanità, attraverso la ragione, per allontanare le tenebre della superstizione e dell’ignoranza. Tra gli illuminati si distinse Jean Jaques Rousseau con il suo “Contratto sociale”, un vasta opera di ridefinizione della struttura delle società contemporanea avvilita dalla tirannia e dall’oppressione delle classi dominanti (clero e aristocrazia). Uno spaccato della società francese di allora, in cui l’uomo, naturalmente buono, si lasciava opprimere dai potenti invece di scuotersi, reclamando il diritto di ridefinire un nuovo rapporto sociale, basato sulla libertà e l’uguaglianza. Altri giganti del pensiero furono Diderot e d’Alambert, ideatori della “Enciclopedia”, il primo accurato tentativo di elaborare un testo attraverso il quale divulgare l’istruzione e la conoscenza delle principali nozioni conosciute in quegli anni. A differenza di Rousseau i due enciclopedisti non ritenevano l’uomo buono per natura e quindi spingevano affinché la massa insorgesse contro il potere che la teneva nella sudditanza e nell’ignoranza. Fu da questa scintilla che scoppiò la protesta sociale in una Parigi affamata dalla carestia e dalle esose gabelle nel mentre a Versailles Luigi XVI viveva nei fasti, sostenuto da aristocratici latifondisti ed esosi esattori di gabelle. Una miscela esplosiva che portò il popolo alla presa della Bastiglia, carcere e fortezza che rappresentava, allora, il simbolo del regime da abbattere. Quello che ne seguì è scritto sui libri di storia: il Terrore, la Vandea, la Restaurazione con l’epopea imperiale Napoleonica, la restaurazione della monarchia costituzionale. Furono questi i capitoli principali di ben oltre mezzo secolo di fatti e vicende. Si erse in quel periodo la figura di un intellettuale estremista, sommariamente sbrigativo e sanguinario: Maximilian de Robespierre. Quest’ultimo, come avvenuto in seguito in altri regimi totalitari, interpretò alla lettera i dettami ideologici della rivoluzione sociale, eliminando materialmente gli avversari. Lo fece manipolando i lavori e le determinazioni assunte dall’Assemblea Costituente, il parlamento rivoluzionario frutto di un iniziale compromesso tra il re e le categorie sociali rivoluzionarie, tra le quali cresceva per importanza quella chiamata “borghesia”, il ceto sociale di piccoli commercianti ed artigiani, ideologicamente moderato. In quella assemblea, riunita in permanenza nel Palazzo delle Tuileries a Parigi, si diede vita sia alle leggi che ristrutturavano l’impalcatura delle istituzioni statali, sia a processi sommari e condanne a morte dei presunti nemici della Rivoluzione. Tuttavia tra i banchi assembleari si formarono e si distinsero varie fazioni di pensiero come i Giacobini, artefici del terrore, ed i più moderati Girondini. Tra loro, protagonisti di accese discussioni e furibondi dibattiti, oltre a Robespierre, si distinsero Georges Danton, Camille Desmoulins, Jean-Paul Marat, Alexis de Tocqueville, nonché un personaggio caratteristico, passato alle cronache del tempo: Madame de Condorcet. Quest’ultima, moglie di un aristocratico poi salito sul patibolo, si era convertita ai principi rivoluzionari non si sa se per convincimento o per salvarsi il collo dalla ghigliottina. Come tutti i “convertiti”, era particolarmente acrimoniosa ed estremista, tanto da intervenire ed interrogare Robespierre di continuo. “Se foste mio marito le propinerei un the avvelenato” gli disse una volta sentendosi rispondere, ironicamente: “se lei fosse mia moglie, io lo berrei”. Insomma, l’impressione che se ne deriva e che la nostra marchesa avesse cambiato opinione, diventando una zelante estremista solo per rifarsi una nuova verginità culturale. L’esempio della Condorcet è venuto alla mente nell’ascoltare le dichiarazioni pubbliche rese al “Gay Pride” di Napoli, da Francesca Pascale già fidanzata di Silvio Berlusconi. L’ex regina del “cerchio magico” di Forza Italia, oggi felicemente lesbica (e carica dei denari del Cavaliere), immemore dei trascorsi personali e politici e delle posizioni assunte in passato, ha sostenuto le ragioni della comunità Lgbt tuonando contro quella destra che si oppone all’approvazione del Ddl Zan, che vuole inasprire (anche) le pene per i reati di opinione contro gli omosessuali. Insomma la Pascale oggi lancia anatemi. Siamo una Nazione sfortunata: ai francesi toccò la Marchesa de Condorcet, agli italiani tocca la nuova filosofia di Madame de Calippò!!

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