Mafia: scacco matto alle famiglie messinesi dei Batanesi e dei Bontempo Scavo di Tortorici, 94 arresti

carcere

MESSINA – Scacco ai Batanesi e dei Bontempo Scavo di Tortorici: 94 arresti di cui 46 ai domiciliari. Il blitz alle prime luci dell’alba dei carabinieri del Ros e della Guardia di Finanza con oltre mille militari coinvolti. L’accusa è di truffa ai fondi Ue per 10 milioni di euro.

L’inchiesta

E’ stata portata avanti dei magistrati messinesi coordinati dal procuratore Maurizio de Lucia. Una vera e propria stangata sul cuore pulsante della mafia locale di un piccolo centro sui Nebrodi decapitando le famiglie dei Batanesi e dei Bontempo Scavo di Tortorici che ha portato ai 94 arresti. Le due famiglie mafiose dopo anni di guerre  fra di loro negli anni ’90 avevano deciso una tregua armata finalizzata alla spartizione di un grosso volume di affari, vedi le truffe messe in atto all’Unione europea e all’Agenzia per le erogazioni in agricoltura con il metodo dell’agromafia.  “Anche se – dichiarano i magistrati – sotto la cenere cova sempre la voglia di fare piazza pulita del concorrente”.

Nuovo tipo di mafia

Non più rivolta al taglieggiamento degli imprenditori locali o agli omicidi, ma che guarda oltre, alle truffe grazie soprattutto alla “connivenza di insospettabili imprenditori e professionisti”. Agli arresti sono finiti i Batanesi, Sebastiano Bontempo detto ‘u vappu’, Giordano Galati detto ‘Lupin’, Sebastiano Bontempo detto ‘il biondino’ e Sebastiano Mica Conti, tutti già con la fedina penale macchiata da vari reati ma ora ai vertice del clan. Mentre per i Bontempo Scavo sono stati arrestati: Aurelio Salvatore Faranda e i fratelli Massimo, Giuseppe e Gaetano.

I colletti bianchi

Nell’inchiesta anche vari imprenditori e professionisti locali, come il notaio, Antonino Pecoraro, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa grazie al quale si sarebbero falsificati gli atti per “far risultare acquisiti per usucapione una serie di terreni la cui titolarità serviva alle famiglie mafiose per chiedere i contributi Ue, e i titolari di una serie di centri commerciali agricoli della zona. I terreni erano anche in Puglia e Abruzzo”.

I ringraziamenti

“Ringrazio i magistrati e le forze dell’ordine per aver fatto pulizia con una delle più vaste operazioni antimafia mai eseguite in Sicilia – ha detto Giuseppe Antoci – e la più imponente, sul versante dei fondi europei dell’Agricoltura in mano alle famiglie mafiose, mai eseguita in Italia e all’Estero. Si è disvelato proprio il contesto mafioso che ho denunciato da anni e per il quale impegno ho subito un attentato. Io però sono vivo – continua Antoci – grazie alla prontezza dei miei uomini di scorta che mi hanno salvato la vita e se oggi si è arrivati a questi risultati è grazie a loro a cui dedico lo strumento d’indagine del mio protocollo contro un’agromafia moderna che attraverso il controllo del territorio capillare punta sempre di più alla terra perché, in base alla quantità di possesso, arrivano finanziamenti”. ”. E i magistrati aggiungono: “Nel contesto che emerge nella presente indagine di truffe milionarie e di furto mafioso del territorio trova aspetti di significazione probatoria e chiavi di lettura di quell’attentato. Antoci si è posto in contrasto con interessi milionari della mafia”.

Il protocollo antimafia

“Le organizzazioni mafiose in questione – spiega il Gip – grazie all’apporto di professionisti, presentano una fisionomia dinamica, muovendo dal controllo dei terreni, forti di stretti legami parentali e omertà diffusa e, quindi, difficilmente permeabili al fenomeno delle collaborazioni con la giustizia, mirano all’accaparramento di utili, infiltrandosi in settori strategici dell’economia legale, depredandolo di ingentissime risorse, nella studiata consapevolezza che le condotte fraudolente, aventi ad oggetto i contributi comunitari, praticate su larga scala e difficilmente investigabili in modo unitario e sistematico, presentino bassi rischi giudiziari, a fronte di elevatissimi profitti. Il tutto ha avuto un limite grazie al protocollo Antoci, legge dello Stato dal 2017, ideato e voluto dall’ex presidente del Parco dei Nebrodi, che nel 2016 subì un attentato mafioso”. Un protocollo grazia al quale si imponeva agli imprenditori agricoli che ottenevano in concessione terreni demaniali “di presentare non l’autocertificazione antimafia, come accadeva in precedenza ma quella prefettizia”. Solo così si è scoperto che “sui prati del più grande polmone verde della Sicilia i boss, certificando falsamente di non aver mai riportato condanne per associazione a delinquere di stampo mafioso, ottenevano milioni di euro dai finanziamenti pubblici destinati all’agricoltura erogati dall’Unione Europea e dell’Agea”.

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