Massoneria e Gladio: le presunte minacce di morte a Flavio D’Intorno da parte del giudice

ROMA – E’ un fiume in piena Flavio D’Introno. Il suo racconto ricostruisce gli ingranaggi del presunto sistema di corruzione nel tribunale di Trani e accusa i pm Antonio Savasta e Michele Nardi. Quest’ultimo, stando alla testimonianza raccolta dagli inquirenti, non esita a promettere di farlo uccidere se avesse riferito ad altri il loro rapporto: accade, come dice l’imprenditore, quando “dopo dieci anni, il pozzo si è prosciugato” e non poteva più pagare il magistrato, che era arrivato a chiedergli – oltre a orologi, diamanti e vari benefit per centinaia di migliaia di euro – anche due milioni di euro per corrompere altri giudici.

I poteri occulti

Ci sarebbero la massoneria e i servizi segreti deviati. Persino il sistema Gladio, l’organizzazione paramilitare nata su impulso della Nato in chiave antisovietica. Sono gravide di questi riferimenti le presunte minacce di morte raccontate, quando “dopo dieci anni, il pozzo si è prosciugato”.

Le confessioni fiume rese dall’imprenditore di Corato dicono di una paura piena, ma anche di ipotetici depistaggi e di una fuga all’estero ben architettata, il “sistema Albania”.

Gli ingranaggi e le minacce di morte

Le sue parole, sostengono gli investigatori, ricostruiscono il presunto sistema di corruzione nel tribunale di Trani e inchiodano il magistrato MicheleNardi, almeno stando alle oltre 800 pagine di ordinanza firmata dal gip del Tribunale di Lecce Giovanni Gallo.

Da ieri sono in cella proprio Nardi, un ispettore di polizia e Antonio Savasta. Tra le misure interdittive notificate, una è a carico del noto imprenditore Luigi Dagostino.

Se parli ti uccido (le frasi riportate da Il Fatto Quotidiano)

“Disse che se io parlo allora mi doveva far ammazzare da questi dei servizi segreti, tanto lui a Lecce era molto potente, conosceva gip, capo procura, conosceva tutti, disse: ‘Tu sei un morto che cammina se parli – disse. Quando faccio vedere la tua foto faccio uscire a uno e viene qua… io ho i contatti con i servizisegreti. Ho sentito “Inzerrillo” – disse su un altro procedimento penale della struttura Gladio”.

Lo ribadisce più volte: “Nardi mi ha minacciato di morte dicendosi capace di fare del male sia alla dottoressa Licci (la pm) che a me che al luogotenente Santoniccolo per il tramite dei servizi segreti deviati”. Così Flavio D’Introno s’è deciso a parlare. Inizialmente, riferisce solo dei suoi rapporti con Nardi, cerca di tener fuori Savasta, in virtù del “pattod’onore” tra loro.

L’associazione a delinquere

Il tutto finalizzato alla corruzione in atti giudiziari. L’imprenditore 46enne fa di più: per dare maggiore riscontro alle sue dichiarazioni, nell’autunno scorso prende a registrare con lo smartphone i colloqui al bar e altrove. A tratti i rapporti si invertono. Savasta evidentemente ha seritimori: lo invita a non dire nulla di loro e gli promette 50mila euro per fuggire alle Seychelles. È il “prezzo del silenzio di D’Introno – è annotato nell’ordinanza – così come emerge il pieno coinvolgimento anche di Nardi nella strategia finalizzata a comprare il silenzio, provvedendo a fornirgli i mezzi per fuggire dall’Italia e rendersi definitivamente irreperibile”.

L’organizzazione capillare

È l’epilogo di un’organizzazione in cui ciascuno ha il suo ruolo, nella ricostruzione fatta dal pm Roberta Licci e dal procuratore di Lecce Leonardo Leone De Castris: “Nardi è colui che stabilisce le regole organizzative dell’associazione e la ripartizione dei profitti, crea i contatti, acquisisce informazioni”. Savasta, “in virtù delle sue funzioni presso la Procura di Trani, concretamente ha il potere di intervenire ed agisce attivando le più disparate iniziative giudiziarie”; Vincenzo Di Chiaro, ispettore presso il commissariato di Corato, “ha il compito di predisporre false relazioni di servizio e comunicazioni di reato, tutte puntualmente ‘canalizzate’ in modo tale da farle pervenire direttamente a Savasta” ed è il trait d’union tra quest’ultimo e D’Introno; Simona Cuomo, nella sua veste di avvocato, “fornisce copertura giuridica alle iniziative concordate”, costruendo anche false denunce. Grazie a questa architettura si sarebbe consumata più volte la svendita della funzione giudiziaria, un “asservimento, e la circostanza rende se possibile ancora più squallida l’intera vicenda, che i due magistrati – scrive il gip – offrono all’imprenditore D’Introno per risolvere i suoi guai giudiziari, imprenditore visto quale una ‘gallina dalle uova d’oro’ a cui spillare denaro e altre utilità in ogni possibile occasione”.

La ‘elargizione’

Dalle carte, disseminate di omissis, emerge che i due magistrati hanno tenuto rapporti diretti anche con altri imprenditori. Nardi “pretendeva il 10 per cento su tutte le questioni trattate da altri magistrati grazie alla sua intercessione”. Nardi tornava nella sua città ogni fine settimana e “ogni dieci, quindici giorni io gli consegnavo soldi in contanti, 1000, 2000, 1500”, rivela l’imprenditore.

In un decennio gli avrebbe dato di tutto, come prezzo della mediazione “ma anche con il pretesto di dover comprare il favore di altri giudici”: un viaggio a Dubai da 10mila euro; la ristrutturazione di un immobile a Roma per 120mila euro e di una villa a Trani per 600mila; diverse somme in contanti; un Rolex d’oro dal valore di 34mila euro; due diamanti da 27mila euro ciascuno.

Case e due milioni di euro

Nardi inizia a proporre poi investimenti nella capitale, come due appartamenti in Piazza di Spagna, finiti in una indagine per bancarotta fraudolenta che lui sta seguendo. Di più: gli chiede due milioni di euro, somme che giustifica come necessarie per corrompere altri giudici, ad una settimana dalla definizione del processo Fenerator in cui l’imprenditore è imputato per usura.

D’Intorno prosciugato

L’imprenditore D’Intorno però, non ha più soldi. E da quel procedimento giudiziario, anche in appello, ne esce con una condanna. Dopo anni di versamenti, inizia a pensare di “essere stato sfruttato senza in fondo ottenere i risultati che gli erano stati garantiti”.

Il depistaggio

Nardi a quel punto gli fa paura: vanta amicizie potenti e la capacità di influenzare gli ambienti giudiziari. Del procedimento a suo carico a Lecce, ad esempio, sembra sapere molto sin dall’inizio, grazie ad una talpa (non individuata) nel palazzo di giustizia salentino. Poiché sa – è la motivazione per cui è stata accolta la richiesta di custodia cautelare in carcere – tenta la carta dell’inquinamento probatorio: “In sostanza – spiega D’Introno – lui mi diceva di riferire volutamente durante i contatti telefonici delle circostanze non aderenti alla realtà, per creare delle prove a suo favore che gli servivano per depistare le nostre indagini di cui lui era sempre a conoscenza.

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