Pd: Letta convoca direzione e stoppa risiko nomi e alleanze, no referendum su Conte o Renzi

Foto LaPresse Nella foto: Enrico Letta

Congresso Pd, si parte. Le regole di ingaggio per l’assise che porterà all’elezione del nuovo segretario dem verranno stabilite nella direzione nazionale che Enrico Letta ha convocato per giovedì 6 ottobre. Al primo punto all’ordine del giorno della riunione del parlamentino dem c’è l’analisi del voto. “Sarà una direzione vera e vibrante”, assicurano al Nazareno.

Quanto al congresso, Letta ha molto apprezzato le parole di Romano Prodi: dovrà essere “un occasione di apertura alla società e di confronto, anche aspro ma sano, su quelli che sono i problemi del Pd” a partire dal radicamento nella società e dalla capacità di tornare a parlare a lavoratori e persone più in difficoltà. Il segretario, come annunciato all’indomani della sconfitta elettorale, ha in mente “un percorso congressuale inclusivo e aperto che vada alla radice dei problemi e affronti le sfide che stanno di fronte alla nostra comunità”.

Solo dopo, sembra dire l’ex premier ai tanti che più o meno ufficialmente si stanno candidando, verrà il momento di “scegliere chi ci guiderà in futuro”. Per Letta, insomma, i nomi verranno poi. Per arrivare al traguardo del “nuovo Pd” ci sono due strade: indire subito il congresso per arrivare ai gazebo a gennaio o mettere in campo un percorso più compiuto e arrivare a fine marzo, praticamente alla scadenza naturale. Nel partito c’è chi punta ad accelerare – come magari i potenziali candidati – e chi invece chiede un percorso più approfondito, come diversi sindaci.

Dobbiamo fare “presto e bene”, continua a ripetere Letta, che punta a un congresso che sia realmente lo strumento per arrivare a un vero rinnovamento. L’ex premier, assicurano i suoi, “vuole assolutamente evitare” che l’assise diventi un referendum su Giuseppe Conte da un lato o su Matteo Renzi e Carlo Calenda dall’altro. “Sarebbe disdicevole rispetto alla cultura e alla storia politica del Pd che è un grande partito di popolo”, è la linea. Prima ritrovare la propria missione e la propria identità, poi si discuterà di nomi e alleanze, insomma. Stefano Bonaccini, Matteo Ricci, Elly Schlein, Paola De Micheli, Peppe Provenzano, Dario Nardella, tutti per ora possibili candidati, sembrano concordare, insieme a tanti sindaci dem.

Del resto l’invito a non iniziare a cercare il ‘papa straniero’ o il ‘salvatore della patria’, arriva da più parti. “Fra pochi mesi avremo una nuova segreteria del PD. La nona in quindici anni. Con una progressione che può insidiare il turnover record di allenatori della mia Inter: quattordici in quindici anni – l’ironia amara di Beppe Sala – vi invito a riflettere anche sul fatto, per esempio, che al giorno tre dopo le elezioni, oltre alla volontà di cambiare la Costituzione perché sarebbe troppo vecchia, gli esponenti di Fratelli d’Italia vanno subito sulla legge 194, che garantisce il diritto all’aborto. Si può parlare di segreterie e di congressi, ma c’è subito, da oggi, da lottare per difendere le ragioni di tutti coloro che riteniamo di rappresentare”.

“Partiamo dalle idee e dalle proposte”, gli fa eco Andrea Orlando, che inizia con le sue: “Con l’inflazione agli attuali livelli, la prima  proposta di legge e la prima campagna nel Paese del Pd deve essere per l’introduzione di un salario dignitoso per tutti i lavoratori”, scrive su Twitter proponendo poi “presidi di fronte a tutti i luoghi di lavoro”. Matteo Orfini è sarcastico: “Con una media di un paio di autocandidature al giorno, se siamo bravi nel giro di un paio di mesi possiamo arrivare a una sessantina di candidati a un congresso che non è nemmeno stato convocato. Mi pare geniale. Abbiamo capito tutto”.

Intanto, anche Pier Luigi Bersani indica la rotta, a modo suo: “Penso che per tutti quelli che si ritengono di sinistra pensare di risolvere il problema che si è aperto solo in casa, sarebbe una stupidaggine. Non facciamoci il pane in casa per favore”, dice intercettato da LaPresse dopo un aperitivo fatto con il vicesegretario Pd Peppe Provenzano al bar ‘Giolitti’, nei pressi della Camera dei deputati.

Giusto ‘bussare’ al forno di Giuseppe Conte? “No, dobbiamo pensare al forno nostro – risponde – Questa Paese ha bisogno di una sinistra di Governo, plurale e dopo di che, naturalmente, si lavora a ricomporre un campo progressista. Ma senza una sinistra di governo i pilastri dell’uguaglianza – che sono diritti al lavoro, fiscalità progressiva, welfare universalisticochi è che ha il know how di questa roba qui? I pilastri son quelli lì – assicura – non possiamo appaltarli ad altri”.(LaPresse)

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