Pd in pezzi dopo la direzione nazionale: i dem si scoprono inaffidabili e inconsistenti

Fanno finta di voler dialogare con i Cinque Stelle, poi votano compatti una linea contraria

Il reggente del Pd Maurizio Martina e Matteo Renzi
Foto Piero Cruciatti / LaPresse 21-04-2017 Milano, Italia Politica #Noi che… con Matteo Renzi, Maurizio Martina e Valeria Fedeli Nella foto: Maurizio Martina, MAtteo Renzi Photo Piero Cruciatti / LaPresse 21-04-2017 Milan, Italy Politics #Noi che… with Matteo Renzi, Maurizio Martina e Valeria Fedeli In the photo: Maurizio Martina, Matteo Renzi

ROMA (Gianluca Rocca) La direzione nazionale del Pd ha certificato l’inaffidabilità dei dem: il capo politico del partito (quello ufficiale, il reggente, Maurizio Martina) era uscito dalle consultazioni con l’impegno a sedersi al tavolo dei Cinque Stelle per trattare la formazione di un possibile governo; ma alla direzione nazionale di pochi giorni dopo si è invece presentato con una mozione nella quale escludeva qualsiasi accordo di governo con il M5S. Questa è la semplice cronaca di quanto accaduto, e l’aggettivo che merita un tale comportamento non può essere che ‘inaffidabile’.

Le reazioni? Nessuna. Renzi controlla il partito dove conta: in Parlamento. La direzione nazionale non conta più nulla

Inutile cercare giustificazioni: annunciare pubblicamente qualcosa e poi fare il contrario è l’opposto della serietà. Ma evidentemente è un comportamento grave dappertutto tranne che in Italia, tant’è vero che nessuno ci ha fatto caso. Nemmeno gli stessi politici coinvolti nell’affaire. Nemmeno il partito danneggiato da questo comportamento scorretto (il Movimento Cinque Stelle) ha detto mezza parola, ma qui evidentemente c’è il fatto che i pentastellati non sono minimamente stupiti di questo modo di agire. Non ha protestato nessuno nemmeno tra gli stessi dem, eppure tra di loro c’era anche chi avrebbe voluto e vuole ancora, un dialogo con il partito che rappresenta un italiano su tre. Due nomi su tutti: Piero Fassino e Michele Emiliano. Addirittura il primo è arrivato a dire: “Bisognerebbe tornare al bipolarismo, da una parte il centrodestra e dall’altra noi e i Cinque Stelle”. Michele Emiliano: “Sono tre anni che dico che bisogna aprire al M5S”. E Renzi che fa? Li ignora bellamente, tanto tutti i parlamentari eletti del Pd (pochi) sono della sua parrocchia, quindi tutti i giochi che contano, quelli che si decidono nelle Camere, li decide lui. La direzione nazionale resta una bella messa in scena, utile soltanto a farsi invitare in tv il giorno prima.

La mossa stizzita del presidente Mattarella: ha convocato le consultazioni di lunedì due ore prima che si svolgesse la direzione nazionale del Pd

Il bello è che tutti, a partire dal presidente Sergio Mattarella per finire con i leader delle altre forze politiche, non hanno più nemmeno atteso l’esito della direzione nazionale e già un minuto dopo l’intervista televisiva di Matteo Renzi avevano dato per scontato e ufficiale il no del Pd al M5S. Che la direzione nazionale presieduta da Martina non contasse ormai più nulla lo ha ‘istituzionalizzato’ il tweet del presidente della Repubblica, che dure ore prima che si svolgesse, ha convocato per lunedì mattina le nuove consultazioni, probabilmente le ultime, quelle in cui si tenterà l’ultima carta a disposizione: il governassimo, con tutti dentro (tranne il M5S). La morale di questo teatrino democratico? Non solo il Pd si è macchiato di quell’inaffidabilità che amava affibbiare proprio al M5S, ma si è anche svelato inconsistente. Il glorioso partito a cui tutti i dem si vantavano di appartenere “per le ripetute prove di democraticità interna date negli anni”, si è mostrato per quello che è: il PdR (partito di Renzi). Infondate anche le voci di una fuoriuscita del leader toscano per fondare un movimento alla Macron, personalistico: non ne ha bisogno, lo possiede già. Peccato che per arrivare a questa conquista (iniziata con la famosa, e ormai antica, rottamazione) abbia avuto bisogno di ridurre il Pd ad un partito del 17 per cento, facendolo retrocedere da prima a terza forza politica del Paese. E la ‘decrescita felice’ è solo all’inizio. A forza di scendere potrà incontrare al suo stesso livello anche l’altro partito macroniano, quello dello zio Silvio Berlusconi, e finalmente potranno dichiarare pubblicamente il loro amore segreto: il partito della nazione. Tra banche, televisioni, stallieri e olgettine, riusciranno a tirare avanti e a sbarcare il lunario indisturbati fino ad una serena pensione.

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