Pestaggi in cella, gli agenti arrestati: “Noi il braccio, cercate i mandanti”

Il garante dei detenuti di Caserta ha incontrato i poliziotti finiti in prigione con l’accusa di aver picchiato i detenuti del reparto Nilo: “Mi hanno detto di aver agito per paura”

NAPOLI Verrebbe da dire ‘unica nel suo genere’. Ma anche se non lo fosse (se ci sono precedenti simili che adesso ci sfuggono), sicuramente è insolita per il tema trattato (soprattutto per come l’ha affrontato), per i numeri prodotti, per l’attenzione mediatica ricevuta e per la scossa data alle istituzioni: rarità a parte, l’inchiesta sui pestaggi nel reparto Nilo ha avuto il merito di ricordare a tutti le criticità, pesantissime, del sistema carcerario italiano. Le ha sbattute in faccia ad ogni cittadino, senza filtri. Al momento, però, è riuscita ad individuare e a ‘colpire’ con misure cautelari solo “il braccio” di quella che il giudice Sergio Enea ha definito una “orribile mattanza”. E di questo ne sono consapevoli pure alcuni degli agenti ripresi dalla telecamere a manganellare e a colpire con calci e pugni gli ‘ospiti’ del reparto Nilo. Su ordine del gip, proprio per quelle condotte violente messe in atto il 6 aprile 2020, da carcerieri sono diventati carcerati. Ora si trovano nel penitenziario militare di S. Maria Capua Vetere: “Noi siamo stati il braccio. Siamo stati comandati”: è il loro sfogo riferito tra frustrazione e commozione ad Emanuela Belcuore, il garante dei detenuti della provincia di Caserta che nei giorni scorsi ha voluto incontrarli.

Le parole dei poliziotti arrestati sono state riportate ieri mattina proprio dalla Belcuore nel corso della conferenza stampa organizzata con Patrizia Sannino, criminologa e sua collaboratrice, per fare il punto su una delle pagine più buie del pianeta carcere italiano.

Alla garante gli agenti hanno detto di aver avuto quegli atteggiamenti violenti “anche per paura”. Temevano la reazione dei detenuti ai controlli che stavano per eseguire. E quel timore è sfociato in barbarie. Alcuni di loro non entravano nei reparti da tantissimo tempo. Svolgevano mansioni ‘poco operative’ da decenni.

Per concretizzare quelle perquisizioni straordinarie, diventate in pochi minuti veri e propri pestaggi, erano state inviati a S. Maria Capua Vetere poliziotti di Secondigliano e Avellino. “Siamo stati divisi in gruppi da quattro, senza prepararci, senza dirci cosa fare”, hanno raccontato alla garante. Nessuno briefing per organizzarle. Alcuni poliziotti non erano neppure al lavoro e per l’operazione sarebbero stati ugualmente contattati. “Mi hanno riferito – ha detto Belcuore – che alcuni erano stato richiamati in servizio, altri non entravano in reparto da 20 anni. Li hanno fatti firmare – ha aggiunto -, gli hanno dato un elmetto e un manganello”. Se hanno agito è perché c’è stato un ordine, perché è stata evidente la volontà di dare un segnale di forza. di controllo del sistema unicamente con la violenza. Il tutto, dettaglio non da poco, a 24 ore di distanza da una protesta disinnescata col dialogo. Quella “orribile mattanza” non si è auto-organizzata e sicuramente non è stata un’iniziativa voluta dalla base’ degli agenti. Da qui la difesa (riflessione) degli arrestati. “Mi hanno detto di aver agito per paura e mi hanno chiesto di sottolineare che loro sono sì il braccio – ha ribadito Belcuore -, ma che vanno ricercati i colpevoli anche nelle menti di tali azioni. Si cerchi di capire se chi ha dato l’ordine era preposto a farlo, se era un atto compatibile con le sue mansioni”. Già nelle prime ore successive alle 52 misure cautelari disposte dal gip Enea il 28 giugno, il ministro Marta Cartabia, nel corso di una riunione urgente con Bernardo Petralia, capo del Dap, con il garante nazionale delle persone private della libertà, Mauro Palma, e con il sottosegretario Francesco Paolo Sisto, aveva chiesto approfondimenti “sull’intera catena di informazioni e responsabilità, a tutti i livelli, che hanno consentito quanto accaduto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, e un rapporto a più ampio raggio anche su altri istituti”. Vuole che venga identificato chi ha permesso le violenze. Ed in questa direzione si sta muovendo anche la Procura diretta da Maria Antonietta Troncone: è intenzionata a rafforzare l’attività investigativa per ricostruire la catena di comando che aveva ordinato le perquisizioni e identificare chi con ha usato violenza ma grazie ai caschi non è stato ancora identificato

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