Pizzerie sull’orlo del baratro: “Lo Stato ci ha abbandonati”

Parla Vincenzo Esposito, titolare della pizzeria Carmnella

NAPOLI – Il cuore di Napoli, le pizzerie, sono chiuse dall’inizio della crisi del coronavirus. All’orizzonte nessuna data per la riapertura, poche speranze e la rabbia dei titolari per la decisione della Regione di impedire le consegne a domicilio. La pizza napoletana è patrimonio Unesco, un gioiello culinario di livello mondiale, un comparto di assoluta eccellenza che ora rischia di piombare in una crisi inedita e non semplice da risolvere. A parlarne con ‘Cronache’ è uno degli artisti del piatto più famoso del pianeta, Vincenzo Esposito, della pizzeria ‘Carmnella’ che si trova a due passi dalla Stazione centrale.

Che segnali avete avuto sulla riapertura?

Nessuno. Ci hanno totalmente abbandonati. I rappresentanti di categoria, io faccio parte dell’Assocazione Verace Pizza Napoletana, stanno cercando contatti, ma non si va oltre le indiscrezioni. Nessuna istituzione ci ha rassicurato su quando potremo riaprire e soprattutto sul modo in cui dovremo farlo. Potrebbe esserci una iniziale autorizzazione solo per il delivery, ma non è certo una soluzione che risolve i problemi. Tantissime pizzerie non fanno questo tipo di lavoro e a loro converrebbe addirittura restare chiusi. Nel mio caso e in quello di tanti locali del centro storico la consegna a domicilio rappresenta la possibilità di recuperare almeno le spese. Ma tanti altri, per non gettare la spugna, avrebbero bisogno di una copertura totale da parte dello Stato per il periodo di stop dell’attività.

Perché si è deciso di sospendere il delivery?

Sinceramente non lo abbiamo capito. In Lombardia, che è la regione più colpita dal coronavirus, non ci sono state restrizioni in merito. E’ vero che al Nord c’è una propensione maggiore a questo tipo di servizio, metnre a Napoli siamo abituati a sederci al tavolo e goderci la pizza in compagnia, ma comunque dovremo adeguarci. Da parte del Comune e della Regione a riguardo c’è il silenzio più totale. In tutta Italia si lavora con le consegne a domicilio, mentre in Campania, dove la pizza è stata inventata, siamo fermi al palo.
Ritiene utili e sufficienti le misure di sostegno annunciate dal governo?

Il premier Conte ha fatto una serie di annunci, ma di concreto si è visto ben poco.

Personalmente ho fatto 4 volte la procedura per il bonus da 600 euro e mi è sempre stato contestato l’indirizzo indicato, che non corrisponde agli archivi Inps sebbene io non abbia mai cambiato casa. Il Contact Center, che doveva contattarmi per rimediare al disguido, è ancora silente. E non credo di essere l’unico ad aver avuto questa difficoltà. Ma, in ogni caso, 600 euro servono a ben poco.

E l’apertura all’accesso al credito?

Qui serve un sostegno concreto, forte, per pagare le spese e tenere in vita le attività che non potranno recuperare col solo delivery i mancati incassi. Sono davvero contrariato. L’apertura al credito può servire a non chiudere, ma è un palliativo anche perché dal punto di vista fiscale continuiamo a essere tartassati. In molti rinunceranno anche al prestito, visto che saranno sicuri di non pagare visto che le attività saranno ferme o limitate a lungo e il delibery non è la panacea di tutti i mali.

Per altro bisognerebbe considerare che dopo la crisi del coronavirus ci sarà comunque da affrontare un enorme calo di accessi dovuti a un turismo azzerato di colpo.

Esatto. E credo che le banche, sapendo che molte imprese saranno in difficoltà prossimamente, faranno resistenza ad accettare di concedere i prestiti. Per altro gli istituti di credito non sanno ancora come procedere visto che il provvedimento è stato pubblicato soltanto da poche ore sulla Gazzetta Ufficiale. La misura del governo serve a quelle categorie che non subiranno un calo del fatturato. Nel nostro caso non risponde ad alcuna esigenza. Presto dovremo pagare fornitori, fitti e tasse arretrate. E’ veramente dura. Siamo stati trattati peggio di chiunque altro, devo dire. Sono veramente incazzato per questo. E’ chiaro che tutti stiamo aspettando la riapertura, un graduale ritorno alla normalità. Ma sappiamo anche che da quel momento in avanti nel nostro settore, che avrà perdite incredibili rispetto ad altri, si combatterà per la sopravvivenza.

Quando e come pensate di riaprire?

Ad oggi la data è quella del 4 maggio e dovremmo prepararci per questo. Ovviamente ci aspettiamo che il premier Conte un paio di giorni prima della scadenza compaia sugli schermi per dirci che dobbiamo restare chiusi ancora per diverse settimane. Anche il come riaprire mi preoccupa. Mascherine e distanze rischiano di uccidere la convivialità, le misure restrittive cambiano tutto, sono sopportabili solo per quei locali in cui si va a mangiare in fretta e furia, senza la famiglia, magari nella pausa lavoro degli uffici. La maggior parte dei cittadini non avrà voglia di essere servito da un cameriere che somiglia tanto a un infermiere. Ci dovremo abituare a una realtà molto complessa, ma sapremo fare anche questo. Con il delivery in tanti riusciremo ad avere una boccata d’ossigeno ma temo che il 70% di imprese del settore avrà serie difficoltà ad andare avanti.

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