Pnrr, bloccare i tentativi di speculare

Raffaele Carotenuto

Perché il Pnrr può essere importante per la macroregione Mezzogiorno? In linea generale, una riforma è tale ed efficace se viene accompagnata dalle necessarie economie complessive per cambiare qualcosa. Se si affronta un cambiamento strutturale in un settore dello Stato senza avere a disposizione i soldi necessari si rischia di produrre una contro-riforma.
Per esempio, se si riforma il sistema pensionistico senza soldi, il risultato prodotto dalla nuova legislazione penalizzerà i nuovi pensionati (allungamento età pensionabile, perdita economica se si smette volontariamente di lavorare prima dell’età prevista dalla legge, etc.).
I continui tagli alla sanità pubblica nazionale, nel corso degli anni, hanno sempre più spostato l’asse verso la sanità privata convenzionata. Quello che non offre più il sistema generalizzato di welfare sanitario, lo copre a suon di quattrini il privato, che nel frattempo è in grado di abbattere i tempi di attesa delle prestazioni richieste dai cittadini ma con un esborso di denaro maggiore da parte di questi. Lo Stato si deresponsabilizza a vantaggio del privato. Questi sono due classici esempi di tagli alla spesa pubblica.
Da questi due esempi si capisce che la riforma radicale di un servizio pubblico senza una nuova prospettiva economica di medio-lungo periodo, diventa qualcosa di negativo e peggiorativo per le categorie di cittadini interessati. L’opportunità offerta dal prestito della Ue per recuperare i dislivelli territoriali e socio-economici esistenti nel Mezzogiorno, possono introdurre, al contrario, elementi di riforme strutturali e di sistema, senza creare ulteriori danni e/o arretramenti del Sud nei confronti del restante paese.
A due precise condizioni: che sia vero l’esborso monetario di almeno il 40% in ogni settore finanziato dall’Europa verso il Sud, e che i progetti messi in campo siano veramente all’altezza del cambiamento auspicato e non perché debbano genericamente “ingrassare” il capitalismo settentrionale. Ovvero quel capitalismo che, storicamente, ha puntato lo sguardo da queste parti per rigenerare sé stesso, non certo per migliorare la qualità della vita delle comunità meridionali.
Il Mezzogiorno, di suo, non dovrebbe prestare il fianco nell’offrire manodopera a basso costo per quelle opere pubbliche che verranno fagocitate dagli apparati produttivi industriali del Nord. Dovrebbe invece cercare dentro di sé quelle forze necessarie per introdurre un significativo miglioramento delle proprie condizioni, fare un salto di qualità culturale nella elaborazione di prassi amministrative concertate con i propri territori, far vivere le scelte ai cittadini in maniera orizzontale, metabolizzare processi in grado di prospettare un nuovo orizzonte di vita di relazione.
Infine, la qualità della progettazione, punto sul quale ancora si insiste, dovrebbe saper mirare su un nuovo Sud visto come spazio di produzione e non più di solo consumo.
Esattamente tutto quello che non è successo dall’unità d’Italia ad oggi, dove il capitalismo settentrionale ha sfruttato manodopera meridionale a basso costo, il Nord ha visto esodi di massa di operai provenienti dal Mezzogiorno e il concepimento della macroregione meridionale come un luogo di consumo, talvolta parassitario, di prodotti concepiti altrove.
In definitiva, al Sud nessuno regalerà niente, ci saranno tentativi speculativi sulle nuove economie disponibili, sia dentro che fuori dal Mezzogiorno, e si rischia di perdere l’ultima occasione possibile. Per contrastare tutto ciò non vi è bisogno di inventarsi un nemico, ma la forte necessità di crescere e farsi grandi. Questo è indispensabile. E spetta direttamente al Sud.

di Raffaele Carotenuto

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