Quando Parigi tradisce De Gaulle

Vincenzo D'Anna, ex parlamentare

Non finirò mai di affermare che la conoscenza della storia è un fattore essenziale per poter fare politica ad alto livello e assumere decisioni adeguate che non siano frutto di estemporanee alzate di ingegno. Questa carenza è particolarmente grave quando le decisioni riguardano più vasti ambiti sovra nazionali ed occorre pertanto sintonizzare le scelte di più Stati. Poiché la storia insegna continuamente ma non trova chi l’ascolti, spesso le sue lezioni cadono nel dimenticatoio e coloro che siedono nei posti di vertice ripetono i medesimi, identici errori di un tempo. Peggio ancora se si arriva a contraddire la storia stessa di una nazione a tal punto che le proposte finite sul tappeto arrivano poi a smentire clamorosamente quelle assunte in passato. In tema di unità europea è quello che accade a uno dei Paesi di maggior peso nel Continente: la Francia di Emmanuel Macron, il leader conservatore che siede all’Eliseo. Quella transalpina, lo ricordiamo, è una repubblica presidenziale nella quale il presidente viene eletto a suffragio universale dal popolo. Tocca poi a lui incaricare il capo del governo, votato, a sua volta, da un Parlamento eletto con il sistema maggioritario a doppio turno. Un retaggio decisionista, quello dei nostri “cugini”, che discende direttamente dalle riforme che Charles De Gaulle impose ai francesi subito dopo la seconda guerra mondiale. Una politica, la sua, che sul tema della unità europea ha conosciuto sempre accenti critici ma che, allo stesso tempo e per altri aspetti, ha poi trovato preciso e puntuale riscontro nell’evoluzione dei tempi. De Gaulle come tutti i francesi, era uno sciovinista, un acceso nazionalista, ed immaginava l’unità del Vecchio Continente come una continuazione della politica estera francese. Lo statista di Lille mai avrebbe voluto che l’Europa sottraesse alla grandeur francese quote fisse di sovranità decisionale. Tuttavia era per la costituzione di una federazione di Stati e la creazione di un esercito comune. A tal proposito realizzò, insieme con i tedeschi, la cosiddetta “Force de frappe”, un’intesa militare in grado di fronteggiare le necessità post belliche tanto da potersi liberare dall’abbraccio e dalla protezione della Nato a guida statunitense. Una previsione che oggi viene ripresa dalla Ue dopo oltre mezzo secolo con la formazione della cosiddetta “Bussola Europea”, un gruppo interforze di pronto intervento di cinquemila uomini. Ma non fu solo questa l’intuizione di De Gaulle che oggi trova riscontro a causa della guerra Russo-Ucraina, ovvero quella di un esercito comune europeo inserito nel quadro statuale di una federazione di Stati capace di difendere i comuni interessi politici commerciali dell’Europa nel giorno in cui il vecchio continente si fosse trasformato in un concorrente di quello statunitense. Insomma, la possibilità di diventare autosufficienti e autonomi in tema di politica estera. Se quelle scelte avessero fatto breccia nei decenni successivi, oggi l’Europa sarebbe il cuscinetto ideale tra le superpotenze dell’Est (Russia e Cina) ed il colosso americano. L’espansione della Nato, per quanto difensiva e liberalmente scelta dagli Stati aderenti, desta legittimi sospetti da parte di Mosca e del suo alleato in pectore cinese, proprio per la preponderanza della presenza statunitense nell’Alleanza Atlantica. Una presenza minacciosa, sia pur in potenza, anche grazie alla mancanza di coesione tra gli Stati europei e di una politica estera comune. Aver decretato le sanzioni economiche, aiutando l’Ucraina con gli armamenti di base per difendersi, è un atto sacrosanto contro la protervia di Putin e le sue smanie paranoiche di sentirsi accerchiato e minacciato. Ma i frutti delle sanzioni saranno colti solo tra qualche mese, allorquando la dipendenza energetica di molti paesi europei sarà stata cancellata e il Cremlino non potrà più esercitare ricatti. La decisione di Mosca di farsi pagare il petrolio in rubli, la moneta russa, ha creato una condizione di vantaggio e di sostegno alla moneta di Putin e certo allevierà il disagio finanziario. Ma altre ombre e disarmonie si calano sulle decisioni sanzionatorie. La Francia, per capirci, continua a fornire manifatture alla Russia e la Turchia tiene aperti i porti ai carghi di quel Paese facendo spostare gli affari dei ricchi oligarchi sulle sponde del Bosforo (e sulle rive della Senna). Insomma Erdogan viene attratto sia dal sistema illiberale russo che dai soldi e dai commerci di quel Paese. Ma che anche il francese Macron faccia il furbo, è un atto politico grave che delegittima l’Unione Europea e destabilizza quel minimo di intese fin qui raggiunte. Forse si avvera la considerazione di Putin che l’Europa sia ormai un luogo esangue e gli europei deteriorati dal relativismo etico e dalla società opulenta. Tradire De Gaulle equivale a tradire la grandeur europea.

*già parlamentare

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