Quirinale: tra prassi e vincoli Carta il valzer delle date per il dopo Mattarella

Il totonomi sul successore di Sergio Mattarella è partito da tempo, ma sulla data del grande evento - quando il Parlamento si riunirà in seduta comune per l'elezione del nuovo capo dello Stato - la confusione regna sovrana.

ROMA – Il totonomi sul successore di Sergio Mattarella è partito da tempo, ma sulla data del grande evento – quando il Parlamento si riunirà in seduta comune per l’elezione del nuovo capo dello Stato – la confusione regna sovrana. Chi dice gennaio, chi febbraio, chi addirittura ipotizza già le prime votazioni nella settimana successiva alla festa dell’Epifania (il 6 gennaio). Aprendo così a scenari di fantasia con due presidenti della Repubblica a contendersi le stanze del Quirinale. Rumors che circolano all’impazzata tra i corridoi della politica, senza tenere conto di quella che tra gli addetti ai lavori viene definita ‘prassi’ e che in questo caso non è molto lontana dalla regola. Il mandato di Mattarella, come noto, scade il 3 febbraio e, vista la rigidità del presidente nell’interpretare la Costituzione, appare assai lontano dalla realtà che lui stesso conceda un ampio anticipo alla riunione delle Camere. Tenendo presente, poi, che la convocazione, prima della scadenza naturale del mandato, è una ‘concessione’ previo accordo che lo stesso capo dello Stato fa al Parlamento per evitare che ci sia un lungo periodo di vacatio al Quirinale. Per questo, attenendosi strettamente alle indicazioni della Costituzione, il presidente della Camera, Roberto Fico, convocherà i primi di gennaio il Parlamento in seduta comune e, in mancanza del placet dal Colle, la votazione inizierà presumibilmente il 4 febbraio.

L’attuale inquilino del Colle, è noto, ha sempre interpretato alla lettera la grammatica costituzionale e parlamentare, senza mai sforare in ‘libere’ interpretazioni, se non in modo forse più stringente della regola scritta, con occhio sempre attento ai precedenti. Guardando ai suoi predecessori si nota, infatti, una costante: Giorgio Napolitano fu eletto alla quarta votazione il 10 maggio 2006, con Carlo Azeglio Ciampi prossimo a lasciare il Quirinale il 15 maggio. Anche per il bis si scelse di anticipare di qualche giorno la convocazione delle Camere tant’è che Napolitano fu rieletto il 20 aprile a due giorni dalla scadenza. Lo stesso Ciampi ebbe il plauso del Parlamento il 13 maggio, con Oscar Luigi Scalfaro pronto a far ritorno nella sua casa nel quartiere Aurelio il 15 maggio. Questo per dire che la ‘cortesia’ che Mattarella potrebbe fare al Parlamento sarebbe di un breve anticipo, con l’ancora di salvataggio che – in caso di sforamento – a prendere le redini del Paese ci sarebbe il presidente del Senato, Elisabetta Alberti Casellati. E’ presumibile quindi che l’elezione del nuovo capo dello Stato avvenga a ridosso dell’ultimo week-end di gennaio.

Poco più di tre mesi, insomma, con la politica che per ora “trasforma spifferi in tempesta”, ma di incontri e caminetti neanche l’ombra. Per il momento i partiti vanno in ordine sparso, concentrando i loro boatos su due nomi: Mario Draghi e Sergio Mattarella. Il premier sembra sempre più lontano da quello che fu il palazzo dei Papi. Il suo faro resta completare il lavoro per cui è stato chiamato: mettere quindi in sicurezza il Paese. Pertanto ne avrà almeno – per fare lo stretto necessario – fino al 2023. Sul fronte opposto Sergio Mattarella e un bis che, neanche con la pubblicazione della foto mentre va in visita in un appartamento da affittare, ha perso quotazioni. L’attuale inquilino del Colle ha detto a chiare lettere che la rielezione è una strada da non percorrere e che il divieto dovrebbe essere scritto in Costituzione. Una questione di pesi e contrappesi, spiegò l’inquilino del Colle, citando il suo predecessore, Antonio Segni: “Di qui l’affermazione che ’una volta disposta la non rieleggibilità del Presidente, si potrà anche abrogare la disposizione dell’articolo 88 comma 2 della Costituzione, che toglie al Presidente il potere di sciogliere il Parlamento negli ultimi mesi del suo mandato”. A questa convinzione squisitamente costituzionale si aggiunge anche la non volontà di proseguire e la necessità di dedicarsi a un meritato riposo, dopo sette anni impegnativi. La posizione dunque è irremovibile e gli addetti ai lavori vedono come possibile un rispolvero del metodo Ciampi, tanto per tornare all’importanza dei precedenti. Nel 2006 infatti quando cominciò a essere ventilata l’ipotesi di un bis, l’ex capo di Bankitalia consegnò alle cronache una nota per dire no a quanti invocavano un suo nuovo mandato: “Sono profondamente grato per le molteplici dichiarazioni in favore della mia rielezione a presidente della Repubblica” tuttavia “tali dichiarazioni mi inducono, per una esigenza di doverosa chiarezza, a confermare pubblicamente la mia ‘non disponibilità’ ad un rinnovo del mandato, anticipata nel messaggio di commiato di fine anno”. Ciampi in quell’occasione ricordò che nessuno prima di lui abbracciò la pratica della rielezione, “una pratica che è bene non infrangere”, e rimarcò: “A mio avviso, il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato”. Per Mattarella il precedente esiste e si chiama Napolitano.

di Donatella Di Nitto

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