Referendum Giustizia. L’avvocato Garofalo: “La Severino ingiusta e dannosa”

L'avvocato Giuseppe Garofalo

NAPOLI – E’ il decano degli avvocati di Santa Maria Capua Vetere, fondatore della Camera penale di quel foro e primo presidente, coordinatore delle Camere penali della Campania. Giuseppe Garofalo è un’istituzione e conoscere la sua opinione rispetto ai quesiti referendari che domani saranno all’eseme degli elettori italiani non può che essere un valore aggiunto, a prescindere dalle personali posizioni.

I penalisti hanno più volte sottolineato un ricorso ‘eccessivo’ alla custodia cautelare: con l’abolizione dell’ipotesi più importante per la sua applicazione – il rischio di reiterazione dei reati per la stessa specie – non sarebbe più possibile ricorrere al carcere in mancanza di una delle altre due esigenze previste dalla legge, cioè l’inquinamento delle prove o il pericolo di fuga. E’ a suo avviso una limitazione pericolosa soprattutto per reati comuni come furti e/o droga?

La custodia cautelare è una nuova forma di tortura. “E’ il passaggio da un’arte di punire ad un’altra, non meno sapiente della prima” e per un certo aspetto peggiore di quella praticata nelle legislazioni passate. Mi spiego. Veniva applicata in presenza di indizi prossimi alla prova, ma non tali da pronunziare condanne. Con la tortura si tentava di ottenere la confessione. Ma se questa, malgrado le sofferenze, non avveniva, per una antica regola l’accusato veniva liberato. Oggi, con la legislazione attuale, l’imputato può negare quanto vuole, ma resta in carcere. Nella raccolte delle sentenze di Vincenzo de Franchis, presidente del Sacro Consiglio Napoletano, l’equivalente dell’attuale Cassazione, ne viene riportata una che vale la pena di ricordare. Due fratelli accusati di essere correi di un furto, arrestati e sottoposti a tortura dalla Corte della Vicaria, avevano negato la loro partecipazione al delitto. La Corte era stata costretta a liberarli con la formula “liberatur in forma” cioè il processo poteva essere ripreso se nei due anni il Fisco (il Pubblico Ministero dell’epoca N.d.R.) avesse acquisito nuove prove. Nei due anni il Fisco, raccolti nuovi elementi che avvaloravano le accuse già fatte dai correi, aveva riarrestato i due fratelli che erano ricorsi al Sacro Consiglio. Il Supremo Tribunale napoletano aveva accolto il ricorso e liberato gli arrestati. Motivazione: i nuovi elementi di prova raccolti dalla Vicaria accreditavano le vecchie chiamate in correità e non già nuove prove come richiedeva la legge.

Per quel che concerne la scelta delle funzioni del magistrato a inizio carriera, qual è la sua posizione?

Sia la legislazione penale che quella civile sono troppo voluminose e complesse perché la stessa persona possa essere ugualmente preparata per consentirle il passaggio dall’una all’altra legislazione. Negli ultimi tempi il livello di preparazione professionale dei giudici e, diciamo lo, anche degli avvocati risulta paurosamente basso. L’ultimo concorso in magistratura ha rilevato una situazione catastrofica: 80% non idoneo e compiti scritti disseminati da errori di grammatica.

L’equa valutazione sui consigli giudiziari con l’introduzione del voto degli avvocati non rischia di consentire proprio ad un avvocato di decidere la carriera di un magistrato che gli ha dato torto magari anche solo qualche giorno prima?

Il quesito sulla partecipazione degli avvocati ai Consigli giudiziari richiama alla mente l’antico istituto del sindacato di cittadini. Introdotto da Federico II di Svevia con le costituzioni di Melfi del 1231, confermato dagli Angioini e riformato radicalmente degli Aragonesi obbligava il giudice, a fine mandato, di rendere conto del suo operato e difendersi dalle accuse di malagiustizia promosse dai cittadini. Furono proprio gli Aragonesi a stabilire che i sindacatori non dovevano essere del territorio su cui aveva amministrato giustizia il giudice sottoposto a sindacato. Risolsero così il problema della possibile vendetta di coloro che erano stati giudicati dal giudice. Nelle costituzioni di Melfi ilsindacato aveva il numero 101. Lo stesso numero 101 della Costituzione vigente sbarra la via ad ogni forma di sindacato: “I giudici sono soggetti solo alla legge“. A cosa serviva il sindacato lo disse l’Imperatore Carlo V “affinché i giudici abbiano maggiore cura nell’esercizio della giustizia e non opprimano né le popolazioni né i sudditi“ per evitare che le sue decisioni fossero sabotate, con una prammatica del 22 marzo del 1518, inviata al Governo Napolitano, ordinò che il giudice prima di prendere possesso della carica, doveva versare idonea cauzione a garanzia che non si sarebbe sottratto al sindacato. Allora non c’erano le società di assicurazione.

L’abrogazione della Legge Severino è secondo lei un passo in avanti o indietro nella lotta alla corruzione ed agli illeciti nella Pubblica Amministrazione?

La legge va abrogata perché ingiusta e dannosa. I danni cagionati a tanti innocenti gridano giustizia. Per garantire la moralità dei pubblici amministratori si potrebbe pensare a una forma più attuale del Tribunale di Censura prevista nella riforma giudiziaria di Mario Pagano, non attuata per i noti eventi storici che riportarono l’Autore alla forca in Piazza Mercato.

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