Industria in Campania: ultima chiamata

Foto Marco Cavalli

La Campania sta vivendo in questi mesi una delle più complesse e coinvolgenti crisi dell’apparato produttivo del Mezzogiorno. La desertificazione industriale e manifatturiera non è più un pericolo ma una drammatica realtà e l’assenza di una strategia da parte del governo centrale appesantiscono il quadro economico e sociale della regione. L’industria subisce un’ulteriore contrazione anche con lo spostamento d’impianti verso altri territori. L’elenco delle aziende chiuse è estremamente lungo: da “Finmek”, “Ixfin”, “Formenti”, 3M, Ucar a Caserta; a “Itron”, “Nuova Sinter” e “Alenia Casoria” a Napoli; a “Tecnostampi”, “Stamperia Irpina” e “ASM” ad Avellino. Non meno preoccupante è lo stato delle vertenze: “Fonderie Pisano” a Salerno; “IIA” e  Novolegno ad Avellino. Su tutte, però, ci sono le drammatiche vicende della “Jabil” di Marcianise, in provincia di Caserta – al cui avvio delle trattative il Governo era assente – e la Whirlpool di Napoli, con suoi 430 lavoratori e lavoratrici cui si aggiunge l’importante indotto irpino.

L’assenza di una strategia produttiva e industriale, però, è palesemente un deficit al quale si somma, per la Campania, l’aggravante della dispersione di risorse pubbliche, l’inflazione di piani industriali di breve respiro e l’impotenza totale delle istituzioni e della politica nei confronti delle multinazionali. In questa regione, inoltre, come del resto nel Mezzogiorno, oltre all’antagonismo del movimento sindacale non ci sono le giuste pressioni a far revocare le decisioni delle aziende e il Governo dimostra i propri limiti nella conduzione di trattative e nell’idea di Paese e di quali strategie di sviluppo mettere in campo. In Francia, per fare un esempio, quando la Ferrero a inizio giugno ha deciso di adottare una linea aziendale di piena rottura con i lavoratori, il Governo ha fatto sentire il proprio peso e la propria autorevolezza nei confronti di una multinazionale. Per non parlare degli altri gruppi industriali, anche italiani, che non riescono a delocalizzare o a dismettere con la stessa facilità di come avviene nel nostro Paese. La mancanza di una politica industriale, quindi, è una delle cause delle crisi e se a questa inconsistenza del Governo nazionale aggiungiamo la timidezza della Regione Campania, non vedo vie d’uscita. Credo che il presidente De Luca, dovrebbe essere in prima fila nella difesa dell’apparato produttivo e dell’occupazione della Campania.

Cgil, Cisl e Uil Campania, protagoniste di questa stagione di ritrovata unità sindacale, a conclusione della prima fase di mobilitazione nazionale, chiusa con la manifestazione di Reggio Calabria, sono pronte ad aprire un vero fronte vertenziale alla ricerca di dialogo e concertazione col governo regionale mettendo anche il lavoro al centro delle nostre proposte e idee. In questi giorni il sindacato, con grande senso di responsabilità e con la determinazione della lotta, sta mettendo in campo tutto quanto possibile per far passare un’altra idea di politica industriale a politica e imprese. Ma se non c’è un’ampia consapevolezza dei gravi risvolti che queste crisi produrranno, non potremmo guardare al futuro. A Napoli e in Campania il futuro ha una dimensione nazionale e la sconfitta segnerebbe una svolta non più recuperabile. Altro che ridurre il gap con il Nord e con il resto del Paese. Altro che creazioni di poli attrattivi per imprese e modelli di sviluppo. Qui la storia sta andando verso un’altra direzione.

Segretario generale Cgil Campania

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