Il Mes e il mistero delle istituzioni comunitarie

(di Enrico Parolisi)

Il MES è un argomento complesso. Nella misura in cui a noi italiani risulta complessa l’Europa come concetto. Ricordo ancora un’indagine statistica condotta da Quaeris nel febbraio 2016 in cui si ponevano alcune domande emblematiche a un discreto campione di nostri compatrioti relative alla percezione del peso dell’Italia in Europa. Non è tanto il numero di preferenze sull’uscita o meno dall’euro a destare scalpore, ma il fatto che molto candidamente per ogni domanda l’assoluta maggioranza era data da persone che non avrebbero saputo esprimere un’opinione in merito.

Per la maggior parte di noi italiani le istituzioni comunitarie sono un mistero. Sappiamo che ogni tot anni dobbiamo nominare i nostri rappresentanti al Parlamento Europeo, altri “politici che vanno a rubare i soldi” nel credo popolare. Forti delle nostre convinzioni, abbiamo eletto in Europa gli anti-europeisti. E poco conta ciò che fanno. Poco conta persino se di alcuni europarlamentari delle nostre parti in Europa non ne hanno mai avuto notizia, almeno nella sede dell’Europarlamento (e del Consiglio Europeo dei Ministri: indovinate di chi parliamo).

È un po’ colpa di tutti se d’Europa noi italiani sappiamo ben poco. Siamo quelli che uno su due – secondo un sondaggio di TecnéPoll – vogliono l’ItalExit, ma che secondo una ricerca di nove università europee non hanno idea manco di dove arrivino i soldi per le grandi opere che gli amministratori locali fanno passare per loro grandi vittorie (e anche lì, come spiega Linkiesta in un articolo di fine 2019, il problema individuato dai ricercatori del progetto Perceive era di comunicazione: l’Europa in primis non sapeva spiegare che faceva ai cittadini europei).

Se sul quotidiano una buona parte degli italiani non ha idea minima di cosa sia l’Europa, con i suoi organi e le sue istituzioni, immaginiamo quindi la nostra percezione su un argomento economico complesso come il MES. Non abbiamo le basi per argomentare un pensiero sensato ma siamo poveri e tartassati e l’Europa, ci dice la nostra classe politica, è cattiva e responsabile di ogni nostra jettura. Così capita che chi è serratissimo invece nelle citofonate ai tunisini presunti spacciatori possa dire la qualunque in tema in quanto esponente del partito d’opposizione.

Non sarò io in questa sede a dire se Conte abbia fatto o meno bene a sbugiardare, nell’ultima puntata del Decreto prima della sosta di Pasqua, Salvini e Meloni sul MES in diretta, anche perché così come Mentana anche io ho un sacco di cose da fare e non è che posso stare a replicare ogni dieci minuti, dai. Sulla questione d’opportunità delle dirette del Presidente già ho detto su queste pagine che non sono proprio un suo sostenitore. Ma la lunga premessa serve a farci collocare il problema in un altro spazio. Se da un lato, la questione riguarda l’opportunità o meno di utilizzare lo scranno di Palazzo Chigi per attaccare le opposizioni su temi politici, l’altro è dato dalla differenza tra tema politico e bugia. Rientra allora in un altro campo: la sacrosanta battaglia che tutti proclamano sulle fake-news. In tal caso, si assiste a uno strano fenomeno: le fake-news se affermate con stile da meme sul web da pagine e esponenti di Lega, M5S o qualsiasi altro partito si tramutano da bufale in opinioni.

Così non vale. Così non ha senso nessun osservatorio o task force ministeriale contro tutto ciò che inquina il dibattito anche in periodo di crisi profonda. Per censurare gli audio WhatsApp basta la Polizia Postale. Se invece i media avessero semplicemente sancito la verità sostanziale dei fatti sulle affermazioni sul MES di Salvini e Meloni, recuperando terreno su un abisso di ignoranza atavico in materia, non ci sarebbe stato bisogno di null’altro. Nemmeno di inutili dibattiti conseguenti e prese di posizione. Vinceva chi aveva detto il vero. A proposito, colleghi: ma Salvini e Meloni allora avevano sostenuto il vero o no?

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