Rinnovo del 41bis a Provenzano: Italia condannata dalla Corte di Strasburgo

Il regime scelto nonostante le sue precarie condizioni di salute

STRASBURGO – Condannata per aver rinnovato l’applicazione del regime del 41bis a Bernardo Provenzano dal 23 marzo al 13 luglio 2016, data della sua morte. È questa la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo nei confronti dell’Italia.

La ricostruzione

Provenzano, durante la sua detenzione, si era lamentato delle cure mediche inadeguate e proprio di quello speciale regime di detenzione nonostante le sue drammatiche condizioni di salute. I fatti risalgono al 2006 quando, dopo un anno di carcere a Terni, venne trasferito a Novara e da qui tentò più volte di comunicare con l’esterno. Ecco la decisione del Ministero della Giustizia: si ritenne necessario applicare, oltre al regime di 41 bis, quello di ‘sorveglianza speciale’ previsto dall’ordinamento penitenziario. Da allora ulteriori restrizioni e soprattutto l’isolamento in cella senza alcun collegamento con l’esterno. Nel 2011, poi, la conferma di un cancro alla vescica e il trasferimento dal carcere di Novara a quello di Parma.

Condizioni di salute sempre più gravi

Le condizioni si aggravarono, al punto che l’anno dopo l’ex boss di Cosa Nostra tentò anche il suicidio. Fu ricoverato all’ospedale San Paolo di Milano nel 2014 e l’estate successiva la Cassazione confermò il regime di 41 bis presso la camera di massima sicurezza dell’ospedale milanese: era infatti stata respinta l’istanza dei legali di Provenzano che avevano spinto per il trasferimento ai domiciliari. E lo fecero, si disse allora, proprio per tutelare la sua salute dal momento che solo in quel modo, in massima sicurezza, avrebbe potuto ricevere le cure mediche giuste.

La morte dopo il cancro

La Corte Suprema aveva infatti ritenuto che un reparto vicino, non attrezzato ad assicurargli un’assistenza sanitaria efficace, l’avrebbe messo a rischio. Sarebbe morto, invece, nel luglio 2016 a 83 anni. Oggi, per tutto questo, ma soprattutto per una continuità nella ‘massima sicurezza’ considerata eccessiva dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, l’Italia è stata condannata.

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