CASAL DI PRINCIPE – Nonostante si trovi in carcere, Emanuele Libero Schiavone, figlio del boss Francesco Sandokan, sarebbe in grado di far sentire la sua voce, senza filtri, agli affiliati del clan che ora si muovono nell’Agro aversano. Come? Con uno dei tanti cellulari clandestini che circolano nelle prigioni. Avrebbe sfruttato lo stesso meccanismo che, secondo i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, ha permesso a Gianluca Bidognetti, mentre era in cella a Terni, di guidare la cosca messa in piedi dal papà Francesco, alias Cicciotto ‘e menzzanotte. Direttive che avrebbe dato fino a novembre dell’anno scorso, quando, insieme ad altre 36 persone, è stato raggiunto da una nuova ordinanza cautelare (e subito dopo spostato al 41 bis).
Le dichiarazioni del pentito
A sostenere che Schiavone jr (al momento recluso nel reparto di alta sicurezza del carcere di Siracusa) comunichi con l’esterno utilizzando un telefonino è stato Vincenzo D’Angelo, detto Biscottino, genero di Cicciotto e dal dicembre 2022 collaboratore di giustizia.
Il pentito, il 9 gennaio scorso, ha riferito ai magistrati della Dda di aver appreso da Ivanhoe Schiavone che il fratello Emanuele Libero “aveva un telefono all’interno del carcere col quale gli parlava”. E con quel cellulare, ha aggiunto Biscottino, “parlava anche con mia sorella Giuseppina. Questa notizia – ha proseguito – posso collocarla fino al 22 novembre, data del mio arresto”.
Ivanhoe ancora oggi è l’unico figlio maschio di Sandokan non in prigione (al netto di Nicola, il primogenito, e Walter, che sono collaboratori di giustizia). Ed infatti D’Angelo ha pure chiarito che proprio Ivanhoe, poiché il solo rimasto fedele alle logiche mafiose del papà capcolan a potersi muovere senza restrizioni sul territorio, attualmente ha il compito di occuparsi “delle vicende economiche” della famiglia. Ma la sua caratura criminale sarebbe comunque inferiore a quella degli altri germani. Ed infatti sempre D’Angelo ha raccontato ai magistrati che per Ivanhoe il suo clan adesso “tira avanti”, insomma, non navigherebbe in buonissime acque. Ed è per questo che attende trepidante le scarcerazioni di Emanuele Libero e di Carmine che potrebbero riuscire a risollevarlo: “Sosteneva – ha dichiarato Biscottino – che sarebbero stati loro a prendere in mano le redini della famiglia”.
L’intercettazione
Prima ancora che ne parlasse Biscottino, il peso mafioso di Emanuele Libero era già emerso in una conversazione intercorsa proprio tra D’Angelo e Ivanhoe, intercettata dai carabinieri del Nucleo investigativo di Aversa. Era il 16 febbraio 2021 e i due si fermarono in via Michelangelo Buonarroti, nei pressi del bar Guida. Dopo i convenevoli, il tema della discussione si spostò subito sull’avanzata dei sanciprianesi guidati, stando a quanto tracciato dagli investigatori, prima da Oreste Reccia, alias Recchia ‘e lepre, e più recentemente da Emilio Martinelli, detto ‘o barone, figlio di Enricuccio, storico esponente e killer del clan (adesso al 41 bis). D’Angelo informò Ivanhoe di una chiacchierata che aveva avuto con Martinelli, il quale gli chiarì che “era di un’altra famiglia” e che si stava organizzando con un suo gruppo dove avrebbero militato tale Giuseppe Del Vecchio e Gaetano Diana, figlio del capozona Elio Diana (cognato del boss Cicciariello). Ivanhoe commentò le varie informazioni ricevute da Biscottino sul comportamento di Martinelli (arrestato a ottobre dalla Squadra mobile di Caserta per associazione mafiosa) tirando in ballo proprio Emanuele Libero: “Ma quelli adesso stanno tutti quanti così perché Emanuele deve uscire. […] Stanno tutti quanti, non sanno… non sanno dove devono scappare”.
Investigatori in allerta
Per gli investigatori, le parole del rampollo in libertà di casa Sandokan evidenziavano (evidenziano) in modo netto il ruolo di leader di Emanuele Libero che, con la sua prossima scarcerazione, potrebbe frenare la crescita criminale dei sanciprianesi e garantire nuova linfa al gruppo Schiavone. Circostanza che, logicamente, tiene in allerta gli investigatori e la Dda, i quali hanno già dato ampiamente prova di riuscire a monitorare con attenzione i pezzi da novanta del clan quando tornano in libertà dopo un lungo periodo di detenzione. E hanno pure dimostrato di essere bravi a bloccarli tempestivamente se si rituffano nel crimine.
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