Se cade Israele

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

E’ storia antica quella della lotta tra Arabi ed Israeliani. Comincia negli anni Trenta del secolo scorso allorquando oltre duecentomila ebrei, sparsi per il mondo, decidono di tornare nella terra degli avi: la Palestina. Tornare ai luoghi simbolo della religione ebraica (e poi cristiana), rinnovare la storia antichissima che viene tramandata dalla Bibbia. Pensate: i riti ebraici che ricordano l’esodo, in qualunque parte del mondo questi si celebrano, vengono conclusi con il grido “L’anno prossimo a Gerusalemme”. Un esempio di come la tradizione religiosa diventi un potente collante per l’identità di un popolo. Non un popolo qualsiasi, attenzione, ma quello più perseguitato nei secoli a causa di quella stessa identità di razza e di religione che lo connota. Una forza identitaria che lo lega alla propria terra e che non può essere cancellata da qualsivoglia trattato politico. Era quel legame ancestrale che cercavano i cinquemila ebrei che sbarcarono in Palestina nel 1947 dalla nave “Exodus”: provenivano da tutta Europa e molti di essi erano sopravvissuti ai campi di sterminio. La trovarono già occupata da una maggioranza araba e musulmana, che aveva prosperato in quei luoghi e che aveva, anch’essa, diritto allo ius soli, a vivere, cioè, nella propria terra. Gli interessi della politica e la cultura indotta dalla violenza religiosa, fecero prevalere le differenze di razza e di religione, tanto da far soccombere il comune interesse a vivere pacificamente. Gli interessi geo politici del Medio Oriente, il gioco delle grandi potenze colonialiste, congiuntamente agli Stati che erano sorti dalla dissoluzione dell’impero Turco Ottomano, imposero, dal 1920 al 1948, un protettorato britannico, che tenne a bada sia gli arabi che gli israeliani. Una presenza, quella inglese, ritenuta inaccettabile dalle due etnie presenti sul territorio, e quindi le stesse si armarono in segreto contro Londra. Nacque in questo modo la cultura del terrorismo in quella parte del mondo, ritenuta una necessità per sbarazzarsi prima dei dominatori e poi dei residenti dell’altra etnia presente in loco. Sorto lo Stato di Israele, questi fu aggredito subito dai paesi arabi: fu così che gli Israeliani si cementarono come popolo, sul campo di battaglia. Inferiori per numero ed armi, sbaragliarono in tutte le circostanze il nemico. Dal 1948 al 1967 furono ben quattro le guerre combattute e vinte dagli eredi di re Davide, fino a che, finiti gli scontri militari tra Stati, cominciò la violenza terroristica. Varie furono le sigle arabe che issarono la bandiera del terrorismo palestinese e diversi i capi i cui nomi finirono per diventare addirittura leggenda nelle mani della propaganda anti-americana, in quanto alleati di Israele. L’assunto radicale di quei gruppi, in quel tempo, era che lo Stato di Israele ed il Sionismo, dottrina ideologica di quello Stato, dovessero essere cancellate dalla faccia della terra, che gli ebrei fossero una razza padrona, da eliminare perché i popoli poveri ed oppressi del Medio Oriente si liberassero. Non a caso a sostenere questi gruppi paramilitari di impostazione culturale marxista furono l’URSS e la Cina che opposero sempre il veto contro ogni risoluzione dell’ONU che riconoscesse il diritto di Israele e così, di converso, gli USA per le risoluzioni pro Palestinesi. Molto sangue scorse e molti furono gli innocenti vittime del terrorismo, fino a quando l’Egiziano Anwar al-Sadat e l’Israeliano Menachem Begin nel 1978 siglarono un trattato di pace a Camp David negli States. Si ruppe il fronte arabo ed in seguito, nel 1993, un altro nemico di Israele, Yasser Arafat, firmò ad Oslo, con Yitzhak Rabin, capo dello stato Israeliano, la pace. Quell’accordo riconobbe ad entrambi i popoli il diritto ad esistere e ad avere una patria. Oggi un gruppo terroristico chiamato Hamas, stabilmente organizzato in Palestina, prende la mano al governo palestinese e scarica su inermi civili israeliani centinaia di missili, provocando morte e terrore. Israele risponde con durezza, ma come al solito lo fa per difendersi. Certa stampa nostrana da sempre soccorre i palestinesi parificando gli aggressori agli aggrediti. Lo stesso fanno gli inviati speciali della Rai TV. La menzogna è quella di mostrare la povertà ed i disagi dei palestinesi come se fossero conseguenza della presenza in quelle terre dello Stato d’Israele. Un modo surrettizio per ribadire chi siano gli oppressi e chi gli oppressori a prescindere dei fatti reali che pure sono in campo. Purtroppo a questi falsari della storia i morti per terrorismo non sono bastati. Si continua ad ignorare che il popolo ebraico non difende solo il diritto ad esistere, ma anche quello di resistere alla barbarie del terrorismo. Se cadesse Israele, l’Occidente sappia che cadrà anche un argine al terrore.

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