Sorveglianza, il settore dimenticato dalla riforma Cartabia

Giustizia. Il ‘pianeta carceri’ resta un tabù. Gli avvocati Cerbo e Barletta: “Sistema obsoleto, la politica trovi il coraggio di agire”

Gli avvocati Gabriele Roberto Cerbo e Amedeo Barletta
Gli avvocati Gabriele Roberto Cerbo e Amedeo Barletta

Rendere i processi lumaca soltanto un ricordo, garantire ai cittadini una giustizia veloce: era l’intento della riforma Cartabia. E per raggiungere l’obiettivo, non semplice, ha puntato tutto (o quasi) sull’improcedibilità. Mossa giusta?

Cerbo: Inciderà sicuramente sulla celerità del processo penale, ma non risolverà il problema. Bisognava tagliare la cosiddetta “area del penalmente rilevante”. Vanno depenalizzate tante condotte che oggi rientrano tra quelle di reato. Insistendo su questa linea corriamo solo il rischio di caricare ulteriormente il lavoro dei Tribunali e dei magistrati.

Barletta: La lentezza dei processi in Italia è un problema vero e sentito. Il tentativo della riforma Cartabia (che è sostanzialmente una riforma della riforma Bonafede) è dunque giusto e gli obiettivi auspicabili. Come buona parte degli avvocati penalisti e quasi tutta l’accademia avrei preferito ritornare alla prescrizione come la conoscevamo e come era stata interpretata anche dalla Corte costituzionale nella vicenda Taricco. Ma al netto di tutto il sistema introdotto dalla riforma Cartabia è infinitamente migliore della disciplina voluta da Bonafede. In definitiva non è la scelta migliore possibile, ma una scelta sicuramente migliore della precedente.

Il pacchetto di modifiche che interessano il processo penale arriva in un periodo storico non felice per la magistratura. Il caso Palamara, i veleni della presunta Loggia Ungheria. Tanti, anche molti togati, auspicavano una riforma che andasse ad inaugurare un nuovo corso. La montagna ha partorito il topolino?

Cerbo: E’ innegabile che per questi episodi la magistratura stia vivendo un periodo di crisi. Le questioni da lei prospettate hanno cambiato radicalmente la figura del magistrato che si era creata in questi anni, a partire dalle inchieste del ’92. Io, da giovane avvocato, spero che questa sia l’ occasione per entrambe le categorie di ritornare ai tempi di una volta, ossia quando il rispetto reciproco era alla base di ogni rapporto. E su questo sono fiducioso perché vedo in tanti magistrati, soprattutto miei coetanei, una disponibilità a confrontarsi con noi avvocati sul tema giustizia.

Barletta: Le riforme le fa la politica e da questo Parlamento che solo qualche anno fa aveva prodotto la riforma Bonafede e la Spazzacorrotti non potevamo certo attenderci la grande riforma liberale della giustizia, ma se il processo di adozione dei decreti delegati non tradirà le aspettative dalla riforma arriveranno alcune cose positive. Quanto alla riforma della magistratura onestamente siamo molto indietro e ci muoviamo tra troppi veti. A questo punto speriamo nel pungolo costituito dai referendum.

C’è un passaggio nella riforma, a mio avviso non irrilevante, che, sostanzialmente, dice alle Procure di esplicitare i criteri con i quali decide di dare priorità nel perseguire determinati reati. E deve farlo in una cornice tracciata dal Parlamento. E’ il primo passo che la politica compie per entrare nelle scelte dei magistrati? E’ il primo passo per mettere in discussione l’obbligatorietà dell’azione penale?

Cerbo: Sono anni che la magistratura è entrata nelle scelte della politica. E ora con questa riforma, che non mi vede d’accordo, potrebbe sembrare che stia preparando il terreno per limitare il potere delle Procure. Non possiamo permetterci un sistema che tenda a perseguire reati di serie A e reati di serie B, cosi come non si possono avere indagati di seria A e indagati di serie B.

Barletta: L’obbligatorietà non deve essere interpretata come un totem dietro al quale troppo spesso si nasconde la totale discrezionalità delle Procure. La legge può chiaramente introdurre delle condizioni circa l’esercizio della obbligatorietà. Quindi sul punto maggiore trasparenza e controllabilità su quale siano le linee guida delle Procura è sicuramente auspicabile

Premiare chi rinuncia all’appello. ‘Allargare’ il patteggiamento. Sono state messe in campo una serie di azioni per spingere l’imputato a chiudere presto il procedimento..

Cerbo: Questi nuovi istituti sono interessanti. Ovviamente, prima di esprimere un giudizio definitivo, dobbiamo testare la loro applicabilità sul campo.

Barletta: Una scelta inevitabile. Il processo accusatorio a cui siamo affezionati come migliore strumento di difesa delle libertà ha bisogno di meno processi che arrivano a dibattimento. Quindi bene che ci siano strumenti che consentano di risolvere prima del processo. La scelta tra queste opzioni, poi, se operata sulla base dei consigli di avvocati preparati e specializzati è da salutare con favore.

Basta ‘indagini fumose’. Basta richieste di processo avanzate solo per evitare di ‘sprecare’ anni e anni di indagine dando vita a dibattimenti che, troppe volte, terminano con un’assoluzione. La Cartabia vuole che il pm avanzi proposta di rinvio a giudizio solo se gli elementi raccolti lo portano a ritenere una ragionevole previsione di condanna…

Cerbo: Torniamo al discorso di prima. Si deve procedere con la depenalizzazione. Mi metto nei vestiti di un pm e dei suoi ausiliari. Dietro un’ indagine spesso si cela un lavoro di anni con costi esorbitanti, anche economici. Secondo me il problema è il criterio delle assegnazioni con cui un magistrato viene posto in un ufficio. Per essere un buon pm, oltre ad essere una persona equilibrata, devi saper indagare. Spesso capita che un magistrato che si sia occupato per anni di civile improvvisamente viene spostato in Procura con la conseguenza di ereditare fascicoli delicati e poter facilmente sbagliare le indagini.

Barletta: Si tratta di una scommessa importante della riforma Cartabia, perché abbia successo è però necessario anche un mutamento culturale di parte della magistratura.

I recenti fatti di cronaca hanno acceso i riflettori sul mondo delle carceri. I pestaggi andati in scena nel reparto Tevere di Santa Maria Capua Vetere, ripresi dalle telecamere, rappresentano una delle pagine più brutte della giustizia italiana. E la riforma non tocca il comparto della ‘Sorveglianza’ che decide della vita carceraria dei detenuti. Cosa andava fatto?

Cerbo: La riforma aveva l’ obbligo di affrontare il problema. Soprattutto perché sono in arrivo i fondi dall’Europa. Il sistema Sorveglianza in Italia è obsoleto, farraginoso, se non fallimentare. Un detenuto non può aspettare mesi e mesi per vedersi fissare un’ udienza per l’applicazione di un beneficio o di una misura alternativa alla detenzione. E quando viene fissata l’ udienza, 9 volte su 10, viene di rinviata di mesi perché nel fascicolo mancano le cosiddette informazioni degli organi preposti a raccoglierle. Si parla di digitalizzare tutto e di processo penale telematico. Facciamolo. Andrebbe creata una piattaforma accessibile al magistrato e alle parti coinvolte dove inserire le informazioni sul detenuto.

Barletta: Speriamo che sulla esecuzione delle pene si possa intervenire presto semmai seguendo le indicazioni formulate qualche anno fa dagli Stati generali della esecuzione penale. Le soluzioni ci sono serve solo che la politica trovi coraggio, forza e interesse a intervenire sul mondo delle carceri che troppo spesso rimane dimenticato. Sul punto sono però incoraggianti le dichiarazioni del Ministro.

Tornando alla riforma approvata dal Parlamento. Che voto le dà?

Cerbo: Le do un ‘6 meno’. Ripeto. Vi era un obbligo, quantomeno morale, di intervenire in maniera rivoluzionaria sul sistema Sorveglianza.

Barletta: Penso che quando entra in vigore una riforma ci vuole sempre un po’ di ottimismo della volontà (la ragione rimane più pessimista), volontà che serve a tirare fuori il meglio possibile dalla riforma. Direi quindi 7.


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