Cambogia, processo ai leader dei Khmer Rossi: colpevoli di genocidio

I due ex leader del regime comunista in Cambogia sono stati condannati all'ergastolo

Minoranze musulmane nel processo in Cambogia contro i Khmer rossi (Photo by TANG CHHIN Sothy / AFP)

Phnom Penh (LaPresse/AFP) – Per la prima volta, due esponenti di alto rango del regime dei Khmer rossi sono stati dichiarati colpevoli di genocidio. Nuon Chea, 92 anni, era il vice del leader Pol Pot, mentre Khieu Samphan, 87 anni, era capo di Stato. Sono stati condannati all’ergastolo per genocidio. Accusa usata per la prima volta dal tribunale internazionale, a 40 anni dalla caduta del regime che ha ucciso 2 milioni di persone. L’ideologo del regime Nuon Chea, ha rivelato il giudice Nil Nonn, “ha dato un contributo significativo all’attuazione dei reati”, “aveva il potere di decisione ultima”. Khieu Samphan, capo di Stato dell’allora Kampuchea Democratica, era “il volto” del movimento ultramaoista. In aula erano presenti centinaia di persone, tra cui membri della minoranza cham che fu vittima degli omicidi di massa, e monaci buddisti. Vietnamiti, minoranza musulmana cham e altre minoranze furono vittime del “genocidio”.

I due ex leader del regime comunista in Cambogia sono stati condannati all’ergastolo

Durante le udienze del processo, che sarà probabilmente l’ultimo intentato contro ex membri del regime, un centinaio di testimoni ha raccontato decapitazioni, stupri, matrimoni forzati, cannibalismo e altri orrori.

I due imputati hanno negato le atrocità. Il primo ministro attuale Hun Sen, lui stesso un ex dirigente dei Khmer Rossi, ha chiesto varie volte che nessun altro sospettato sia processato dal tribunale per le violenze commesse su vasta scala tra 1975 e 1979, affermando che potrebbero verificarsi disordini. Nuon Chea e Khieu Samphan erano dal 2011 a processo davanti al tribunale, dove sono già stati condannati nel 2014 all’ergastolo per crimini contro l’umanità, con conferma in appello nel 2016. Il tribunale internazionale ha valutato che “sussista il crimine di genocidio”, commesso con l’obiettivo di “stabilire una società atea e omogenea, sopprimendo tutte le differenze etniche, nazionali, religiose, razziali, di classe e culturali”, ha affermato il giudice.

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