Ucraina, accoglienza diffusa dei profughi: tra decreto e realtà

Tra la necessità di "una cabina di regia pubblica" e il rischio 'Fai da te'.

(AP Photo/Markus Schreiber)

ROMA – Tra la necessità di “una cabina di regia pubblica” e il rischio ‘Fai da te’. L’accoglienza dei profughi dall’Ucraina è facile a dirsi, più difficile a farsi. Mentre il premier Mario Draghi arringa il Parlamento sulla guerra nel cuore dell’Europa dopo l’intervento del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, associazioni ed enti locali si confrontano con il decreto del governo appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale che ha posto le basi per il ‘piano accoglienza’ dell’Italia in merito ai 60mila profughi già presenti sul territorio nazionale secondo il Viminale. Il dl ha stanziato 355 milioni di euro per il capitolo: 152 milioni di euro per garantire il servizio sanitario a 100mila migranti; 7 milioni per incrementare “la capacità delle strutture relative all’attivazione, alla locazione e alla gestione dei centri di accoglienza” dopo aver dato il potere ai prefetti di agire se necessario in deroga al capitolato d’appalto 2021 che, in seguito agli scandali della ‘mala accoglienza’ del passato, norma ogni dettaglio: dai grammi di riso che si possono servire a pranzo (100-150 a seconda del condimento) al numero di fette biscottate per colazione (4). Ma la vera novità sta nei quasi 200 milioni per la cosiddetta “accoglienza diffusa” diversa dalle strutture classiche (15mila posti) e per fornire sostentamento per un massimo di 90 giorni a 60mila persone che hanno trovato “autonoma sistemazione”. Cruciale diventa il ruolo del Terzo settore. Il Capo della Protezione civile, Fabrizio Curci, lo definisce “il garante” dell’accoglienza diffusa per esempio nelle famiglie, come ha detto stamane. Solo la Caritas Ambrosiana nel suo ‘censimento’ ha raccolto 2.138 famiglie in Lombardia pronte ad ospitare chi è in fuga da Kiev, oltre a 153 appartamenti privati vuoti e 64 spazi utilizzabili presso parrocchie, istituti religiosi e associazioni.

“Non bisogna mortificare la disponibilità delle famiglie ma serve una cabina di regia pubblica, l’accoglienza non è uno scherzo”, dice a LaPresse Liviana Marelli, Responsabile Area minori del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) a cui aderiscono 260 fra associazioni, cooperative e onlus attive nel sociale in Italia che ogni anno si fanno carico di 4mila nuclei familiari e 45mila persone, citando gli esempi delle “procedure per il permesso di soggiorno temporaneo, la scuola per i bambini, i controlli Covid”. Il membro dell’esecutivo nazionale CNCA riprende la preoccupazione già fatta propria dal Garante per l’infanzia e l’adolescenza: “La generosità manifestata in questi giorni è encomiabile, ma l’accoglienza non si improvvisa e non si può fare semplicemente sull’onda dell’emotività”. Il nodo sta anche nelle procedure: la famiglia che vuole accogliere deve segnalarlo ai servizi sociali del Comune di riferimento che devono mettere in atto procedure di valutazione.

“Servirebbe il doppio o il triplo degli organici attuali”, chiosa Marelli, “quello che possono fare alcune cooperative che hanno psicologi e assistenti sociali alle proprie dipendenze è mettersi a disposizione e affiancare i servizi sociali per costruire processi di valutazione ma sempre con una regia pubblica”. Prove tecniche di collaborazione, cercando la quadra del ‘piano accoglienza’ d’Italia.

Di Francesco Floris

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome