Una vecchia signora

La Costituzione compie 75 anni. La Magna Carta, a cui principi si devono attenere tutte le leggi approvate dal Parlamento, mostra ormai tutti i suoi anni. D’altronde, niente passa indenne attraverso tre quarti di secolo senza mostrare anacronismi, ritardi e lacune. Né può fare eccezione una “norma”, sia pure la più importante. Ovviamente stiamo parlando della seconda parte del testo: quella che indica il processo democratico attraverso il quale si concretizza il governo della Nazione. La prima parte, quella indirizzata ai diritti ed alle libertà di cui godono i cittadini, è pressoché perfetta sul piano generale dei valori che custodisce e rende fruibili, ancorché l’articolo primo resti un anacoluto, un incomprensibile espressione. Quell’articolo definisce infatti la Repubblica Italiana come fondata sul lavoro, ed è il frutto iniziale del compromesso che dovettero adottare i padri costituenti innanzi al peso di una rappresentanza social comunista nell’Assemblea Costituente che era sovrapponibile alle forze politiche laiche e cattoliche presenti in quell’assise. Che una Repubblica sia fondata sul lavoro è una forzatura ideologica imposta dalla sinistra per parafrasare le cosiddette costituzioni di stampo socialista vigenti in quelle cosiddette Repubbliche denominate “popolari” dell’Est Europa, destinate ingloriosamente a sparire con la caduta del comunismo ed il dissolvimento dell’Urss. Una Repubblica di stampo veramente liberale si sarebbe invece dovuta ispirare ad alti valori come la libertà, la democrazia, il pluralismo politico e sociale, il primato della persona umana sugli apparati statali. Tuttavia così non fu ed ecco che siamo stati costretti a portarci appresso questa definizione priva di senso pratico ed ideale se non ideologico. Ma non è la sfera dei diritti e delle libertà contenuta nella prima parte ad essere maggiormente bisognevole di una revisione e di un adeguamento, quanto la seconda parte: quella, cioè, che declina le modalità attraverso le quali il Parlamento, Il Capo dello Stato, i partiti politici e le forze associative collaterali e sindacali svolgono la loro funzione. E’ questa materia che va ripensata e riscritta sulla scorta delle esperienze, non tutte felici ed opportune, che la storia repubblicana ci ha consegnato. Viviamo ormai già da tempo una crisi di sistema, vale a dire uno stato di confusione e di approssimazione politica. I partiti sono diventati simulacri plastificati e personalizzati: non hanno vincoli pubblici e come associazioni private, sono nella disponibilità di gruppi esoterici e familiari. Il Parlamento è costituito da un bicameralismo perfetto al quale soggiace l’approvazione delle leggi che rimbalzano, per ogni virgola spostata, tra Camera e Senato. Il Presidente della Repubblica è solo un notaio, un notabile scelto dalle maggioranze che lo eleggono ed, al tempo stesso, lo influenzano. I provvedimenti del governo, per evitare la palude delle Camere, sono le uniche leggi che il Parlamento vota con l’apposizione della fiducia chiesta dall’esecutivo che spazza via emendamenti e discussioni. Un potere politico che negli anni si è progressivamente arreso alla parte della magistratura militante e politicizzata che fa e disfa, inconferente ed irresponsabile, spesso alterando i profili delle decisioni elettorali determinate dalla volontà popolare. Ora che con il caso Palamara si è finalmente dimostrata la “collusione” tra taluni partiti della sinistra ed i vertici delle procure, spartite con il manuale Cencelli tra i più fedeli, sarebbe il caso di porre fine a questo potere che travalica lo stesso ordine delle garanzie costituzionali. Non a caso abbiamo vissuto la stagione del moralismo orientato politicamente e del potere della “macchina del fango” e della gogna mediatica, l’epoca dei processi spettacolo che, dopo un decennio, finiscono nel nulla, ma che sono serviti a delegittimare politici e partiti avversari dei dante causa che avevano collocato abilmente i loro correligionari ai vertici di taluni uffici giudiziari. Le elezioni si susseguono con leggi cervellotiche, confezionate secondo convenienza di chi governa, secondo un sistema proporzionale che lascia le mani libere agli eletti per le combriccole partitocratiche del dopo voto. In un estremo tentativo il popolo ha affidato la maggioranza alla leader dell’opposizione che non era mai entrata nelle stanze dei bottoni. Un tentativo che non ha alcuna prospettiva, nel medio termine, se non si cambiano le regole del gioco. Non è immune da critiche neanche il corpo elettorale che per ben due volte ha bocciato ipotesi di riforma costituzionale, aderendo alle tesi dei conservatori e dei partiti a cui, in quel momento, cambiare non conveniva. Di un’assemblea costituente neanche a parlarne. Non ci resta, allora, che subire ancora le contraddizioni e gli anacronismi di questa vecchia signora chiamata Costituzione.
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