Violenza sulle donne, Istat: 43mila rivolte ai centri aiuto ma l’offerta resta insufficiente

Nel 2017 si sono rivolte ai Centri antiviolenza 43.467 donne, ovvero 15,5 ogni 10mila, il 67,2% delle quali ha iniziato un percorso di uscita da una vita di soprusi e maltrattamenti.

Foto Francesco Bozzo

MILANO – Nel 2017 si sono rivolte ai Centri antiviolenza 43.467 donne, ovvero 15,5 ogni 10mila, il 67,2% delle quali ha iniziato un percorso di uscita da una vita di soprusi e maltrattamenti. Il 63,7% ha figli, minorenni nel 72,8% dei casi, e 27 volte su cento la persona presa in carico è di nazionalità straniera. E’ quanto emerge dalla prima indagine dell’Istat sui 281 Cav (Centri antiviolenza) realizzata in collaborazione con il Dipartimento per le Pari opportunità, il Consiglio nazionale per le ricerche e le Regioni.

I dati

Per l’Istituto di statistica l’offerta delle strutture che si occupa di aiutare le vittime di violenza e la loro prole è ancora insufficiente. La legge di ratifica della Convenzione di Istanbul del 2013 individua come obiettivo quello di avere un Cav ogni diecimila abitanti. Al 31 dicembre 2017 sono attivi nel nostro Paese 281 centri antiviolenza, pari a 0,05 centri per 10mila abitanti. Ottima invece la reperibilità offerta dalle strutture, aperte in media 5,1 giorni a settimana per circa 7 ore al giorno. La quasi totalità ha attivato diverse modalità per esserlo in modo continuativo, dal numero verde alla segreteria telefonica. L’89,7% dei centri assicura ascolto 5 o più giorni a settimana, e solo il 2% non ha adottato soluzioni di continuità h24, ma comunque aderisce al servizio di chiamate urgenti allo 1522.

Gli sportelli

Molti, inoltre, i servizi offerti in risposta all’esigenza di personalizzazione dei percorsi per superare abusi e sopraffazioni subite. Si parte infatti dal presupposto che i Cav devono rispondere a bisogni molto diversi. Bene anche l’attività di educazione nelle scuole, svolta da nove centri su dieci. L’informazione e formazione all’esterno è rivolta agli operatori sociali (71,7% dei centri), agli operatori sanitari (60,5%), alle forze dell’ordine (49,8%) e agli avvocati (43,4%). Per gestire le situazioni di emergenza, inoltre, l’85,8% dei Centri antiviolenza è collegato con una casa rifugio.

Più della metà delle professioniste che lavora in un Cav, però, lo fa senza essere retribuita: è volontario il 56,1% del personale specializzato, che nel totale – tra pagato e gratuito – raggiunge le 4403 unità. La maggiore quota di volontarie si riscontra tra le operatrici e le avvocate. Tra le figure professionali di cui i centri antiviolenza si avvalgono ci sono le operatrici di accoglienza (89,3%), psicologhe (91,7%), avvocate (94,1%) ed educatrici (50,2%). Scarsa invece la presenza di mediatrici culturali (28,9%).

L’ente promotore delle strutture, cioè la persona giuridica pubblica o privata che ha la titolarità del servizio in quanto lo finanzia, è prevalentemente un soggetto privato in quasi tutte le regioni (61,3%).

di Ester Castano

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