Via D’Amelio, il ricordo di Borsellino a 26 anni dalla strage

Insieme a Falcone è diventato il simbolo della lotta alla mafia

La lapide per Falcone e Borsellino (Foto LaPresse - Vince Paolo Gerace)
PALERMO  – Ventisei anni per non dimenticare. Ventisei anni di domande, di punti oscuri su una vicenda che chiede ancora che sia fatta luce, che chiede ancora verità. Era il 19 luglio del 1992 quando, in via D’Amelio, all’altezza del civico 21, una Fiat 126 imbottita di tritolo esplose davanti a una palazzina. Dopo quello scoppio persero la vita Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Una strage di mafia che seguì quella di Capaci, quando a perdere la vita furono un altro eroe Antimafia, Giovanni Falcone, sua moglie e alcuni uomini della scorta.
Mattarella: “Continuare a cercare la verità sulla strage”
Nel giorno dell’anniversario di una delle pagine più nere del nostro Paese è intervenuto il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella che ha ribadito come sia necessario “non smettere di cercare la verità su quella strage”. Poi un ricordo di Borsellino, descritto come un uomo “probo, riservato, coraggioso e determinato”. Insieme a Falcone “il simbolo dell’Italia che combatte e non si arrende alla criminalità organizzata”. Sulla stessa lunghezza d’onda del Capo dello Stato, anche il premier Giuseppe Conte che afferma: “La ricerca della verità su via D’Amelio è un dovere per l’Italia che crede nel loro esempio e nell’onestà”. Se il ricordo dei due magistrati nell’immaginario collettivo del nostro Paese è luminoso, ci sono di però tanti punti oscuri.
La sentenza: “Uno dei più gravi depistaggi della storia”
I giudici, nelle motivazioni della sentenza sul processo per la morte del magistrato parlano di “uno dei più gravi depistaggi della storia”. In quel palazzo in via D’Amelio Borsellino si era recato a fare visita alla madre.
Il mistero della scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino
Qualcuno lo sapeva. Sulla strage di via D’Amelio pendono ancora pesanti interrogativi, a partire da chi siano stati i mandanti esterni. I boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino sono stati condannati dalla Corte d’assise di Caltanissetta all’ergastolo alla fine del processo Borsellino quater, ma rimane ancora un mistero, tra gli altri, la sparizione dal luogo dell’attentato dell’agenda rossa, dove il magistrato annotava i suoi appunti. Quegli scritti facevano paura a qualcuno.

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