Dazi, Coldiretti annuncia: “Fuorilegge il 20% dei cibi stranieri, vergogna a tavola”

Secondo la Coldiretti, i prodotti stranieri non rispettano le stesse garanzie vigenti a livello nazionale in materia di lavoro, ambiente e salute

Persone a tavola (Foto Nicola Vaglia/ LaPresse)

Milano (LaPresse) – Dal riso asiatico alle nocciole turche, dalla zucchero della Columbia alla carne del Brasile, dall’ortofrutta sudamericana a quella africana fino ai fiori dell’Equador, il 20% dei cibi stranieri che arrivano in Italia sono “fuorilegge”. Non rispettano le stesse garanzie vigenti a livello nazionale in materia di lavoro, ambiente e salute. E’ ciò che emerge da un’analisi della Coldiretti, presentata al Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione in corso a Cernobbio (Como). Lì è stata apparecchiata la tavola della vergogna con i prodotti alimentari dall’estero sotto accusa per sfruttamento dei lavoratori. Pericoli per la salute e utilizzo di sostanze chimiche dannose all’ambiente. Un fenomeno per i prodotti “fuorilegge” che spinge ben il 43% degli italiani a chiedere di bloccare le importazioni da quei Paesi che non rispettano le regole, secondo il sondaggio Coldiretti/Ixè.

Arrivano infatti purtroppo anche in Italia – sottolinea Coldiretti – i prodotti ottenuti dallo sfruttamento del lavoro dei 108 milioni di bambini nelle campagne censiti dalla Fao. Secondo la quale quasi la metà di tutto il lavoro minorile del mondo avviene in Africa, seguita da vicino dall’Asia. Ma rilevante è anche in Sudamerica, aree dalle quali – sottolinea la Coldiretti – l’Italia importa ingenti quantità di prodotti agricoli ed alimentari. Arrivano sulle nostre tavole dal riso del Vietnam agli agrumi della Turchia. Dallo zucchero di canna della Columbia ai fiori dell’Equador fino al cacao della Costa d’Avorio. Sono solo alcuni dei prodotti messi sotto accusa dal Ministero del Lavoro degli Stati Uniti nel recente rapporto sul lavoro minorile del 2018.

Secondo la Coldiretti, i prodotti stranieri non rispettano le stesse garanzie vigenti a livello nazionale in materia di lavoro, ambiente e salute

E non mancano – continua la Coldiretti – i casi di lavoro forzato come l’allevamento in Brasile o la cattura del pesce in Thailandia. Che inonda gli scaffali delle pescherie e i tavoli dei ristoranti lungo tutta la Penisola senza indicazione in etichetta. Ma un pericolo per l’ambiente e per la salute viene anche all’utilizzo improprio di prodotti chimici. Che mettono a rischio e lavoratori ed i consumatori e che in alcuni casi sono vietati da decenni in Europa ed in Italia. E’ ad esempio il caso dei pesticidi utilizzati per le banane coltivate in Equador e per l’ananas del Costarica. Che rappresentano rispettivamente circa la metà e il 90% del consumo dello specifico frutto consumato in Italia.

Il problema è evidente anche per i prodotti in arrivo dal continente asiatico come il pesce ed i molluschi dal Vietnam contaminati da metalli pesanti. O i pistacchi dall’Iran con un contenuto in aflatossine cancerogene spesso sopra il limiti. Lo stesso problema delle nocciole e dei fichi secchi provenienti dalla Turchia secondo il Rapporto del RASSF, il sistema di allerta rapido dell’Unione Europea. E nel continente africano a rischio sono tra l’altro le fragole dell’Egitto che sono indicate dall’Autorità Europea della Sicurezza Alimentare (EFSA) tra i cibi più contaminati per residui chimici.

L’inchiesta dell’ente sui motivi di tale problematica

Per Coldiretti occorre peraltro essere consapevoli che tutto ciò accade spesso grazie alla regia e alle norme sancite dagli accordi bilaterali o multilaterali di libero scambio. E’ il caso – denuncia Coldiretti – del dazio zero concesso grazie all’accordo di libero scambio tra Unione Europea e Canada (CETA). Ai legumi secchi come le lenticchie che nel Paese nordamericano vengono trattati in preraccolta con l’erbicida glifosato secondo modalità vietate in Italia. Ma anche del negoziato in corso con i Paesi del Mercosur che prevede l’arrivo di grandi quantitativi di carne bovina dai paesi sudamericani. Paesi che non rispettano gli standard produttivi e di tracciabilità oggi vigenti in Italia e nel Vecchio Continente. Come dimostra il più grande scandalo mondiale sulla carne avariata che meno di un anno fa ha coinvolto proprio i principali produttori brasiliani.

Senza considerare le condizioni favorevoli che sono state concesse al Marocco per pomodoro da mensa, arance, clementine, fragole, cetrioli, zucchine, aglio, carciofi, olio di oliva. All’Egitto per fragole, uva da tavola e finocchi, oltre all’olio di oliva dalla Tunisia dove non valgono certamente gli stessi standard produttivi, sociali ed ambientali vigenti in Italia.

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