Ottantacinque milioni di morti. A tanto ammonterebbe il numero delle vittime immolate sull’altare di “falce e martello” secondo il “Libro nero del Comunismo”, la monumentale opera di Courtois, Werth, Panné, Paczowski, Bartosek e Margolin, che tanti mal di pancia (e pernacchie) ha scatenato a sinistra. Una cifra agghiacciante che va ben oltre il concetto stesso di “genocidio” se si pensi che un Paese come l’Italia arriva a stento a 60 milioni di abitanti. Eppure, di fronte a numeri del genere, invece di adoperare gli strumenti della ricerca per confutare quel che si reputa “idiozie”, taluni studiosi filomarxisti si limitano a storcere il muso. Semplicemente non accettano, in regime di monopolio della cultura, il concetto che in nome di “bandiera rossa”, in nome, cioè, di un’ideologia che propugna l’emancipazione dei popoli e la fraternità universale, si sia arrivati anche a commettere omicidi di massa.
Delitti per mano militare come quelli ordinati da Stalin, Mao, Pol Pot ed altri “condottieri” della rivoluzione rossa, oppure per altra via come accaduto, ad esempio, in Ucraina, tra il 1932 ed il 1933, con l’Holodomor (in russo: “procurare la morte per fame”), la terribile carestia indotta dal governo sovietico per punire i riottosi kulaki. In questo caso lo strumento dello sterminio si rivelò la pianificazione statale bolscevica redatta da un giovane J.M. Keynes chiamato da Stalin per applicare la sua teoria statalista. Fallacia della programmazione statale che ancora molti stentano a comprendere e osannano Keynes come il padre di un’economia a sostegno del progresso. Quello ucraino fu un olocausto che provocò, secondo alcune stime, più di 7 milioni di morti. Il 23 ottobre del 2008 il Parlamento europeo ha riconosciuto l’Holodomor come un crimine contro l’umanità. Nondimeno, tutto ciò ancora non basta per convincere i più restii a negare quel che pure la storia ci ha insegnato. Come non dire grazie, allora, al giornalista e storico Renato Mieli, lo studioso ebreo che ebbe, per primo, il coraggio di disvelare al mondo gli orrori commessi in nome dello stalinismo, come lo sterminio dei comunisti polacchi? Dal vertice fino ai quadri intermedi del Komunistyczna Partia Polski, ne furono ammazzati circa quattromila. Complice il “nostro” Palmiro Togliatti partito in aereo dalla Spagna per poter controfirmare, a Mosca, la condanna del Komintern verso i “fratelli rossi” di Varsavia, colpevoli solo di essere “ebrei”, vale a dire un ostacolo al patto Molotov-Ribbentrop. Non a caso un’altra risoluzione del Parlamento europeo ha sostanzialmente equiparato, sul piano storico, i crimini del nazismo con quelli del comunismo, creando uno spartiacque politico-culturale decisivo per l’identità stessa dell’Ue.
E tuttavia nessuno si è finora curato, in Italia, di dedicare una riflessione su questi fatti. Nessuno si è mai chiesto se sia stata veramente accantonata quella fatale ideologia. Se sia stata cancellata, cioè, l’idea dello stato massimo, bolso e ridondante, che ambisce ad interferire nelle vicende sociali ed economiche sotto la candida bandiera della “giustizia sociale”. Non stiamo rivangando il passato per discriminare nessuno né per alimentare steccati. Diciamo queste cose per giungere alla conclusione che fino a quando la classe politica italiana di sinistra non farà veramente i conti con l’inadeguatezza di quei modelli culturali e statuali, serpeggeranno sempre, sul quel versante, idee socio-economiche balzane e contrarie ai principi di una società e di uno Stato veramente liberali. Non sono questioni di lana caprina né si tratta di rivendicazioni reazionarie, ma solo della doverosa puntualizzazione che senza la verità storica e la catarsi culturale, l’Italia rimarrà un paese criptosocialista che si manifesta con le tre “malebestie” di don Luigi Sturzo: lo statalismo, il clientelismo e lo spreco del pubblico danaro. Sì signori, siamo in Italia dove anche la storia è prêt-à-porter, dove cambiamo i governi ma non le politiche governative, dove non si riescono ad adeguare ai tempi alcuni passaggi della Carta Costituzionale. Vi siete mai chiesti perché da oltre un quarto di secolo, il potere viene conquistato in nome dell’antipolitica? Si susseguono gli uomini della provvidenza coi i loro volti nuovi e le antiche tare culturali, le idee confuse ed i soliti compromessi. Ma il risultato è una politica di tipo pauperistico e clientelare sotto il comodo ombrello della protezione statale. La Storia delle dottrine politiche e delle esperienze fatte nel secolo scorso, potrebbero insegnarci molto. Peccato, però, che gli italiani siano un popolo di contemporanei, senza ascendenti né discendenti perché preferiscono ignorare il passato e definire la loro identità. *ex parlamentare