Referendum, la sfida di Salvini: “Abbattere il muro di omertà, attendo segnale da Quirinale e Chigi”

Foto LaPresse Nella foto: Matteo Salvini

MILANO – All’inizio della settimana che porta al voto anche per i cinque referendum sulla giustizia, il leader della Lega, Matteo Salvini, si presenta davanti al Pirellone, a Milano, in compagnia del governatore della Lombardia, Attilio Fontana, e di decine fra consiglieri regionali e comunali, assessori lombardi ed europarlamentari che srotolano uno striscione con la scritta ‘Domenica 12 giugno 2022 #referendumgiustizia’.

Davanti alle telecamere, quindi, va a muso duro: “Siamo qui per cercare di abbattere il muro della censura, del silenzio, del bavaglio e dell’omertà che c’è intorno ai referendum sulla giustizia di domenica prossima, che sono un’occasione storica, rivoluzionaria, pacifica di cambiamento. Aspettiamo che tutti dicano qualcosa, a prescindere dal sì o dal no. Aspettiamo che il Presidente Mattarella, che è garante della Costituzione, e il presidente Draghi, che guida il Governo di questo Paese, ricordino agli italiani la grande capacità di cambiare e di scegliere”.

Il messaggio del leader del partito di via Bellerio è netto: “I referendum che possono cambiare tutto nella giustizia dopo 30 anni di attesa sono così preziosi che ci metterò tutto il mio impegno, attendo un segnale dal Quirinale e da Palazzo Chigi. Nessuno si aspetta che Mattarella e Draghi dicano ‘vado a votare sì’, ma mi aspetto che il presidente della Repubblica e del Consiglio ricordino che c’è questa possibilità”. Un pensiero che non va giù al presidente della commissione Giustizia della Camera, Mario Perantoni del M5S: “Vuole forse che il capo dello Stato e il presidente del Consiglio si iscrivano alla Lega? Matteo Salvini sta tentando di coinvolgere nell’arena politica le due massime istituzioni dello Stato. Sarebbe il caso che la smettesse, prima di scadere nel patetico”.

Va avanti, intanto, lo sciopero della fame annunciato contro il “silenzio” attorno ai referendum dal vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli, e da Irene Testa del Partito Radicale. Che hanno deciso di scrivere una lettera al premier, in cui ricordano che “a una settimana dal voto, milioni di cittadini non sanno nemmeno che il 12 giugno si svolgerà un referendum e che la mancanza di informazione sul referendum altera sostanzialmente la dinamica democratica, perché rischia di determinare un astensionismo per disinformazione, astensionismo che nel referendum ha un peso decisivo per la validità del procedimento”. E non solo. È stata lanciata dalla Lega anche una campagna social con l’hashtag #parlatecideiReferendum per “scardinare la censura calata sui quesiti referendari”. Il deputato del Carroccio, Claudio Borghi, si scaglia poi contro l’uso della mascherina ai seggi: “Circolare del duo Lamorgese-Speranza. Mascherina obbligatoria per votare, ma voi state male. E se uno non ce l’ha che fa, non vota? Ma siete pazzi”.

Dal canto suo, il vicepresidente del Csm, David Ermini, fa sapere: “Io personalmente andrò a votare e non raggiungere il quorum sarebbe un’occasione sprecata, esattamente come ogni volta che questo accade ad un referendum”. Ma “le riforme di questo tipo” – è il suo pensiero – spetterebbero al Parlamento. Resta il fatto che la riforma Cartabia, frutto di un lungo lavorìo fra la maggioranza e la ministra della Giustizia, deve passare ancora dal vaglio del Senato. In aula si andrà il 14 giugno, mentre è arrivata una pioggia di emendamenti soprattutto da Fratelli d’Italia, ma anche da Italia viva e dalla Lega.

“Nonostante il lavoro fatto dal Governo, che è un piccolo passo nella direzione giusta, in realtà sulla giustizia siamo all’inizio del cammino. Non credo che questo né il prossimo Parlamento abbiano la forza, la determinazione, la volontà politica di mettere mano a queste questioni, per cui i referendum rappresentano l’unico modo per provare a cambiare le cose”, spiega il fondatore di Italia al centro e governatore della Liguria, Giovanni Toti. Mentre il suo collega lombardo Fontana parla di “silenzio inaccettabile”, messo “per la prima volta nella storia di questo Paese a un argomento così importante”.

Il fronte dei sindaci, invece, non si scalda sui referendum sulla giustizia. Il primo cittadino di Milano, Giuseppe Sala, andrà “certamente” a votare, ma “non ho ancora deciso come voterò, sto riflettendo. Sto approfondendo, perché ci sono su ogni cosa dei pro e dei contro”. E non si nasconde dietro un dito il sindaco di Firenze, Dario Nardella, che confessa: “Io al momento sono propenso a non votare, perché credo che questo referendum sia diventato la bandiera di Salvini e della Lega, e francamente a pochi mesi dal voto non trovo giusto che venga utilizzato il referendum come grimaldello”.(LaPresse)

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