Alimenti: ‘carne salada’ trentina verso Igp ma è battaglia sui confini di produzione

Sull'origine del taglio, aspetto, colore e profumazione della carne salada sono tutti d’accordo

EFE/Marcelo Sayao

TRENTO – Sull’origine del taglio, aspetto, colore e profumazione della carne salada sono tutti d’accordo. Nulla da ridire anche sul fatto che sia un’indiscussa tipicità trentina da tutelare attraverso il marchio Igp in via di approvazione da parte del ministero delle politiche agricole che ha pubblicato il disciplinare in Gazzetta ufficiale. Ma è sui confini amministrativi di produzione che è battaglia. Per Roma, come richiesto dal Consorzio produttori trentini salumi con il benestare della giunta autonoma, il perimetro dell’Indicazione geografica protetta è tutto il territorio provinciale eccezion fatta per i comuni di Primiero San Martino di Castrozza, Imer, Canal San Bovo, Mezzano, Sagron Mis, Castello Tesino, Cinte Tesino e Pieve Tesino. Apriti cielo.

Immediata la levata di scudi. Gli esclusi rivendicano la patria potestà della ‘carne salada’ ottenuta da un unico fascio muscolare, di colore rosso rubino uniforme con eventuale viraggio verso la tonalità rosso scuro in corrispondenza della superficie esterne, con profumazione delicata, tono aromatico leggero mai invadente. E così i produttori tagliati fuori, con l’appoggio incondizionato di sindaci e associazioni, hanno deciso di dar battaglia a suon di perizie tecniche e storiche. “Non c’è tempo da perdere, abbiamo 60 giorni di tempo per presentare osservazioni e far valere le nostre ragioni – dicono unanimi produttori e amministratori -. La culla della ‘carne salada’ è qui come dimostrano i documenti storici del 1515. L’inventario del vicario Antonio Beriano, a favore del principe vescovo Bernardo Clesio, annovera la ‘carne salada’ tra i beni di Castel Tenno.

La consacrazione della pietanza arriva nel 1700 grazie alla famiglia Benini di Cologna di Tenno, sopravvissuta alla peste: furono loro a codificare e mettere nero su bianco il metodo usato anche oggi per marinare la carne per migliorare e prolungare la conservazione”. E’ proprio Giorgio Benini, erede della tradizione, a mettersi di traverso. “Da quattro generazioni il metodo di preparazione non è mai cambiato – racconta a LaPresse -. E oggi ci vogliono escludere? Non se ne parla proprio. Non capiamo come siano stati definiti i criteri geografici, probabilmente qualcuno dovrebbe tornare sui banchi di scuola”. Fatto sta che il tempo stringe e il lavoro di ricerca è tanto. “Ormai ci siamo – proseguono i produttori esclusi -. Se saremo costretti a far valere le nostre ragioni, metteremo tutto in mano agli avvocati”.

(LaPresse)

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