Arzano oggetto del desiderio del clan Moccia

Arzano l'oggetto del desiderio del clan Moccia
Arzano l'oggetto del desiderio del clan Moccia

ARZANO – Il clan Moccia di Afragola voleva allungare i suoi tentacoli su Arzano. Fu il collaboratore di giustizia Giovanni De Falco a raccontarlo agli inquirenti nell’interrogatorio del 13 luglio di quattro anni fa: “Noi della paranza di Michele Puzio comandavamo su Afragola e Casoria. Quando è uscito Domenico Cimini voleva riprendersi il territorio di Arzano che da circa cinque anni era stato preso dagli AmatoPagano. Cimini infatti mi diceva che voleva riprendersi Arzano perché ‘mezza Arzano’ era sempre stata dei Moccia. Lì ad Arzana infatti ci sono tantissime industrie e i Moccia dividevano con gli Amato-Pagano a metà tutte le quote estorsive. Poi hanno ucciso Ciro Casone e di recente hanno ucciso fuori al carcere un altro dei ‘fraulisi’ e gli Amato-Pagano hanno cacciato tutti i ‘fraulisi’ da Arzano. Cimini si stava organizzando per riprendersi Arzana insieme a Tommaso Paribello e a Gaetano Tirino. Se Cimini non veniva arrestato a seguito della decisione della Cassazione sarebbe sicuramente successa la guerra con gli Amato-Pagano”. Il motivo dei sogni espansionistici di Cimini, nemmeno a dirlo, era il denaro: “Cimini – continuò De Falco – diceva infatti che i soldi da Arzano  arrivavano con la pala e per questo la voleva”. Le dichiarazioni del pentito spiccano nelle 1983 pagine dell’ordinanza relativa alla maxi retata eseguita la settimana scorsa contro la cosca degli afragolesi. Un blitz che, sommato alla ‘picchiata’ di ieri, ha messo ko la malavita organizzata dell’area nord. Ed esulta il Comitato di Liberazione dalla Camorra che da mesi, con appelli e manifestazioni, invocava operazioni del genere.  Domenico Cimini, detto Mimmo ’o prevete, secondo gli inquirenti sarebbe stato per anni il capozona dei Moccia ad Arzano. Di Cimini parlò anche il collaboratore di giustizia Antonio Cinquegrana nell’interrogatorio reso il 17 ottobre 2017: “Dopo una quindicina di giorni che era stato scarcerato andai a trovarlo per raccontargli i problemi che avevo avuto sia con i ‘panzarottari’ che con Michele Puzio e gli dissi che era un po’ di tempo che non mi facevo vedere in giro perché avevo saputo che Michele Puzio aveva dato ordine  ai suoi uomini di spararmi. Cimini mi disse che da quel momento non mi sarei dovuta più preoccupare perché avrei camminato sempre con lui visto che aveva molta fiducia in me ed in particolare apprezzava la mia riservatezza. Iniziai così. a fargli da autista e di conseguenza iniziai a far parte del gruppo.  Voglio precisare che Cimini per la sua caratura criminale, essendo stato referente dei Moccia su Arzano. aveva un grosso spessore, molto più elevato di questi ragazzi che affiancavano Puzio”.

Dalle conversazioni intercettate dagli inquirenti e riportate nell’ordinanza del maxi blitz contro i Moccia, emergeva il riconoscimento, da parte dell’organizzazione, della caratura criminale di Francesco Favella, anche lui uomo degli afragolesi su Arzano, il contestuale rimpianto per l’assenza e l‘attesa per l’agognata scarcerazione. “Nella specie – scrive il gip Maria Luisa Miranda – tale dato emerge a chiare lettere ad esempio, nella vicenda riguardante l’aggressione subita dal sodale Pasquale Del Prete, detto o zuopp, da parte di esponenti del gruppo degli AmatoPagano operante nel quartiere della 167 di Arzano. In quel contesto, dai dialoghi intercettati tra Antonio Amabile e Amilcare Iazzetta, emergeva non solo che il vertice del clan afragolese, per tutelare i propri interessi  criminali e per non attirare l’attenzione delle forze di polizia e di conseguenza della magistratura, frenava ì propositi bellicosi di alcuni pur evidenziando le problematiche che gli ‘Afragolesi’ avevano ad Arzano in quel periodo, ma soprattutto, per quanto ora rileva,  che a loro parere, come anche confidato al genero di ‘o ceccio, Pasquale Iorio, solo con Favella e con Cimini avrebbero potuto affrontare quelli della 167 ristabilendo l’equilibrio e il controllo nella zona di Arzano”.

“Fu Mormile l’autore degli inciuci”

E’ ancora forte l’eco delle pale degli elicotteri che ieri mattina hanno sorvolato il cielo delle palazzine della 167, roccaforte del clan degli AmatoPagano, registrati all’anagrafe di camorra con il soprannome di ‘spagnoli’. L’ordinanza che nella primavera dell’anno scorso ha colpito gli ‘scissionisti’ si lega a doppio filo con un personaggio che è arrivato alla ribalta delle cronache in quello stesso periodo, dopo un’ostentazione di “potere criminale” fatta con un corteo in Ferrari in occasione della comunione del figlio. Parliamo di Pasquale Cristiano, esponente del cosiddetto gruppo della ‘167’, da ieri mattina di nuovo dietro le sbarre. Alcune intercettazioni effettuate in sala colloqui hanno fatto emergere l’operatività del gruppo ma anche i rapporti di subordinazione con gli Amato-Pagano. La funzione di cuscinetto tra i due gruppi sarebbe stata rivestita da Salvatore Roselli, noto come Frizione. Nel corso dei colloqui, intercorsi tra Mariano Monfregolo, fratello di Giuseppe, e alcune donne della famiglia, Mariano raccontò, in più riprese, gli esiti di un incontro avuto con Frizione ai Sette Palazzi, spiegando che il gruppo di Arzano altro non era che un sottogruppo del clan Amato-Pagano, al cui vertice si collocavano i tre affiliati a quest’ultima compagine, ovvero Renato Napoleone e Francesco Paolo Russo, coadiuvati da Angelo Antonio Gambino, mentre i Cristiano (Pasquale e il padre Piero), come lo stesso Giuseppe Monfregolo, erano solo i referenti sul territorio, che in quanto detenuti erano da lui rappresentati. Una delle donne riferì il contenuto di un’imbasciata che gli aveva mandato Giuseppe, ossia evitare incontri con Roselli perché “ci stanno inciuci” ed era quindi pericoloso. Alle parole della donna Mariano rispondeva raccontando cosa era successo nei giorni precedenti, chiarendo che non vi era alcun pericolo nell’incontrare Salvatore Roselli, e che l’autore degli ‘inciuci’ era il cognato di Pasquale Cristiano, Vincenzo Mormile, il quale dopo la cattura di Giuseppe Monfregolo (arrestato nel 2019 da latitante ad Afragola), ritenendo Mariano inidoneo a gestire gli affari illeciti di Arzano, voleva occupare il territorio, senza capire che ad Arzano comandano tre persone che appartengono a Melito. Mariano ammetteva di avere commesso due errori gravi nei rapporti con il Frizione, in relazione ai quali riteneva, tuttavia di avere chiarito. In primo luogo si era recato ai Sette Palazzi per far visita a Gennaro Sautto, fratello di Nicola (capoclan di Caivano), senza prima andare a salutare Frizione, capozona del quartiere, referente degli Amato-Pagano a Secondigliano. Il secondo errore, più grave del primo, era consistito nel fatto che, il giorno successivo all’arresto del fratello, aveva rifiutato l’offerta di “aiuto e protezione” portata da emissari dei vertici del clan Amato-Pagano, rispondendo che in caso di necessità si sarebbe rivolto a Mormile. Dopo questa circostanza fu convocato a Secondigliano ai Sette Palazzi e lì, al cospetto di Frizione, gli fu spiegato in maniera chiara e in modo definitivo che il gruppo di Arzano rappresentava una propaggine del clan Amato-Pagano, in cui non comandavano né Giuseppe Monfregolo né Pasquale Cristiano bensì altri tre soggetti detenuti che erano affiliati diretti al clan, con l’ulteriore precisazione che il gruppo di Arzano rientrava in una confederazione camorristica più complessa in cui militavano anche i gruppi “dello Chalet Bakù, Sette Palazzi, ossia Abete e Abbinante, Crescenzo (non coinvolto in alcuna inchiesta) delle Case Celesti, figlio di Gennaro Marino e Casavatore”. Dal racconto emerge che Monfregolo, all’incontro a Secondigliano aveva trovato, seduti attorno ad un medesimo tavolo, esponenti di tutti i gruppi criminali dell’area nord che erano legati agli Amato-Pagano. Frizione, in della occasione, gli aveva chiarito che si trattava della Cupola, precisandogli che a quella riunione egli (Monfregolo, ndr) aveva partecipato come “referente della famiglia di Arzano”, gruppo che rientrava nella medesima confederazione di ‘scissionisti’, in cui ciascun gruppo poteva interagire direttamente con gli altri per sanare eventuali contenziosi, senza doversi prima interfacciare con il vertice del clan di Melito. In concreto Frizione chiariva che ciascun gruppo godeva, sul territorio di egemonia e di autonomia gestionale. Nella medesima conversazione Mariano Monfregolo avrebbe chiarito alla Cupola che lui, al pari del fratello Giuseppe, non avrebbe mai potuto negare un incontro a quelli di Melito. Del resto, anche il fratello quando veniva convocato si precipitava all’appuntamento, anche se talora aveva timore di non far ritorno a casa. Mariano precisava che il fratello lo aveva sempre tenuto fuori da queste dinamiche, assumendosi in prima persona i rischi della situazione, perché era necessario che Renato Napoleone avesse la certezza che i referenti su Arzano fossero leali e correnti nei suoi confronti e nei rapporti con il clan. Mariano Monfregolo specificò infine il concetto, aggiungendo che la sua scelta di sedersi al tavolo degli scissionisti era stata, per alcuni aspetti “obbligata” attesa la potenza militare ed economica del clan Amato-Pagano, a cui non si sarebbe mai potuto opporre. 

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