Brexit, oltre 900mila firme: in crash il sito per la petizione contro l’uscita dall’Ue

È andato in crash nel Regno Unito il sito della petizione che chiede la revoca dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona, revoca che implicherebbe la permanenza di Londra nell'Ue.

(Photo by Tolga AKMEN / AFP)

MILANO – È andato in crash nel Regno Unito il sito della petizione che chiede la revoca dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, revoca che implicherebbe la permanenza di Londra nell’Ue. La petizione ha avuto un picco di sottoscrizioni poco dopo il discorso alla nazione pronunciato mercoledì sera da Theresa May, la quale ha affermato che l’accordo di ritiro con l’Ue ha il supporto dell’opinione pubblica e ha invitato il Parlamento ad approvarlo, e ha raccolto oltre 900mila firme. A riportarlo la Bbc, che aggiunge che il ministro degli Esteri britannico Jeremy Hunt, parlando Bbc Radio 4, ha dichiarato che la revoca dell’articolo 50 è possibile ma “altamente improbabile”. May ha chiesto all’Ue un rinvio della Brexit dal 29 marzo al 30 giugno e di questo si discuterà nel summit Ue che si apre a Bruxelles oggi.

La partecipazione

Affinché una petizione venga discussa in Parlamento è necessario superare la soglia delle 100mila firme, che è stata dunque ampiamente superata. Poco prima di mezzanotte di mercoledì l’iniziativa aveva ricevuto 300mila firme; e fra le 6.45 e le 8 di giovedì si sono aggiunte altre 100mila sottoscrizioni. La frase “revoke Article 50”, cioè “revocare l’articolo 50”, è diventata global trend su Twitter. Sulla petizione si legge: “Il governo sostiene ripetutamente che uscire dall’Ue sia ‘la volontà del popolo’. Vogliamo porre fine a queste dichiarazioni provando la forza del sostegno pubblico, adesso, per la permanenza nell’Ue. Un voto del popolo potrebbe non avere luogo – quindi votate ora”. Secondo alcuni esperti la mossa dal punto di vista legale potrebbe funzionare. L’articolo 50 legalmente può essere revocato unilatreralmente in ogni momento prima del ritiro, ha scritto su HuffPost UK l’accademico Oliver Patel.

LaPresse

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